Encomio del Natale

In molti siti e blog, sui vari social network è possibile trovare recensioni più o meno autorevoli sulle pubblicità natalizie più belle del momento.

Lungo tutto il 2018 abbiamo ripercorso, analizzato ed approfondito vari mass media e provato a sintetizzarne di ognuno le logiche, le opportunità ed i target, con l’intento di formulare una strategia pubblicitaria credibile che potesse rendere appetibile i vari prodotti e servizi.

Ma abbiamo anche parlato spesso di “cultura d’impresa”, dei valori che ne fondano l’etica e la ragione ultima della sua esistenza.

Ed allora il nostro augurio è che questi valori non vengano studiati a tavolino, ma ascoltati dal cuore: solamente l’amore e la passione sanno creare ed infondere valore.

Auguri di Buon Natale!

L’amore è il regalo: il senso universale del Natale.

Per ulteriori approfondimenti:

“Love is a gift”: storia del video.

Competenze del design

In inglese la parola design può essere utilizzata sia come sostantivo che come verbo; assume significati come “intenzione”, “proposito”, “piano”, “intento”, “scopo”, “attentato”, “complotto”, “figura”, “struttura di base”, oppure (to design) “architettare”, “simulare”, “ideare”, “abbozzare”, “organizzare”, “agire in modo strategico”. Tutti questi significati sono in stretta relazione con i termini di “astuzia” e “insidia”.

Il termine deriva dal latino “signum” corrispondente all’italiano “segno”; dal punto di vista della radice etimologica la parola design significa “disegno”.

Ai giorni nostri i termini design, macchina, tecnica, ars e arte sono strettamente collegati l’uno all’altro.

Tuttavia, questa corrispondenza è stata negata per secoli (almeno sin dal Rinascimento).

Nell’età moderna si è operata una netta separazione fra il mondo delle arti e quello della tecnica e delle macchine; così anche la cultura è stata rigidamente scissa in due rami che si escludono a vicenda: quello scientifico-quantitativo e quello artistico-qualitativo. La parola “design” è andata a formare un ponte fra le due branche. Ciò è stato possibile proprio perchè il termine esprime una connessione interna fra arte e tecnica.

L’interdipendenza tra design ed impresa è un dato di fatto indeclinabile; un discorso odierno attorno al design non può prescindere da quello attorno al marketing, all’economia ed al mercato, dunque anche a quello della pubblicità, delle pubbliche relazioni e della comunicazione in generale.

Nel maggio 1998, ad un seminario presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, Gaetano Pesce, scultore, designer ed architetto italiano di origine ligure, affermò che:

Il design è un’idea che, con l’ausilio della tecnologia, diventa prodotto, si interfaccia con il mercato e lo affronta con la forza dell’innovazione. Il design promuove l’incontro tra domanda ed offerta, nella misura in cui il disegno interpreta un bisogno: ma è anche immediatamente interpretabile dall’utente. Questo incontro produce educazione e cultura se il consumo diviene uno stimolo al miglioramento del benessere materiale ed intellettuale delle persone”.

In questa stretta interrelazione oggetti, persone, luoghi e modalità d’uso, azioni, atteggiamenti, filosofie, si fondono nella rappresentazione della “scena”: essa è il luogo della rappresentazione di un racconto, dove sono presenti tutti gli elementi utili allo sviluppo della narrazione: attori, spazio, etc.

La riconfigurazione della cultura Made In Italy deve quindi fondarsi su tre elementi chiave:

  • la connotazione storica del Made In Italy passato;
  • le nuove funzioni dei prodotti locali, distinguendone il senso geografico e la connotazione multiculturale che contraddistingue la nostra giovane nazione;
  • le nuove tecnologie ed i nuovi prodotti che ancora permangono nel nostro Paese e che ne determinano le attuali avanguardie.

Stile Vs. TU

Nel primo dopoguerra e per tutto il decennio degli anni cinquanta, avviene in Italia l’incrocio del mondo delle sartorie di moda con i mondi del cinema e delle arti.

Nasce il Made in Italy: la prima sfilata a Firenze a Palazzo Pitti della casa Giovanni Battista Giorgini nel1951 raccoglie il consenso degli acquirenti americani, a cui presenta 180 modelli provenienti dalle più celebri sartorie italiane.

Insieme alla moda, il termine “stile” viene approcciato anche dal mondo dell’architettura: alla casa si associa la stratificazione emotiva legata agli spazi, agli arredi ed agli oggetti, nelle sue relazioni interdisciplinari con la città ed i cambiamenti sociali, industriali e tecnologici.

In questo senso la cultura dell’abitare ha origini radicate proprio nel nostro Paese, dove circa sette famiglie su dieci sono proprietarie della casa in cui vivono; l’Italia diventò l’incubatore del design come lo intendiamo oggi.  Cioè, per dirla con Gio Ponti, quel “progetto di oggetti per il vivere quotidiano”.

Negli ultimi decenni si è assistito ad un progressivo approccio “taglia unica”: nel mondo della moda esso indica l’unità di misura usata per piccoli indumenti o per biancheria in tessuto elastico che si può adattare a persone che hanno taglia diversa (def. da https://dizionario.internazionale.it).

La TU (taglia unica) dovrebbe vestire dalla taglia 40 alla 44/46 italiana.

Il celebre video pubblicato in web da Buzz Feed, evidenzia che la “one size” non esiste realmente poiché è impossibile che lo stesso capo si possa adattare bene a persone con fisici diversi, che in questo modo rischiano di sentirsi inadeguate, “sbagliate” nel fatto di non poter indossare un abito dalle misure dichiarate come “universali”.

L’approccio “taglia unica” non tenendo conto dell’identità sociale e dell’individualità dei suoi acquirenti, abbassa la leva del prezzo del settore (qualunque esso sia) e riduce il valore percepito della qualità del prodotto. Inoltre, comunicando principalmente con un target medio giovane caratterizzato da bassa capacità di spesa, lascia scoperte alcune fette di mercato caratterizzate da una diversa propensione al consumo, mentre, per sua definizione, dovrebbe interfacciarsi ad ogni tipologia di consumatore.

Ciò che sta accadendo nel mondo dell’architettura, delle finiture d’interni e negli arredi è una sempre maggiore tendenza verso la “one size”: generi architettonici e stili abitativi confluiscono in parallelepipedi di cemento che scivolano l’uno sull’altro e nei materiali e nelle loro tecniche più facilmente commerciali, con conseguente guerra di prezzo globale ed il depauperamento dell’identità locale. Tale atteggiamento confluisce nel danno alla ripresa economica del settore edile, ingegneristico ed architettonico, nonché della produzione di manufatti dal “sapore artigianale” che invece dovrebbero designare il Made in Italy tanto ricercato oltre Oceano.

L’orientamento allo “stile”, al contrario, potrebbe progressivamente portare all’aumento delle barriere all’entrata nel nostro mercato ed alla ripresa economica delle realtà aziendale ormai perdute nel tempo.

 

Per approfondimenti:

Made in Italy:  http://www.raistoria.rai.it/articoli-programma/made-in-italy/14094/default.aspx

One Size Fits All: https://www.youtube.com/watch?v=OapuLyWTvjQ

Semantica globale?

Nel concetto di “rivoluzione” che si insediò in modo incisivo nelle culture europee di fine ‘800 è altresì insito il significato di “invenzione, scoperta”, con particolare riferimento alle due rivoluzioni del motore, prima e vapore e poi a scoppio, e di “investimento” secondo parametri economici, metodi matematico-statistici e limiti giuridici. 

Ad iniziare dalla fine della prima guerra mondiale in poi, il mondo ha conosciuto in vari frammenti storici e culturali una progressiva e sempre più incalzante tensione verso il concetto di “globalismo commerciale”, sfociato in modo irrevocabile nel “globalismo di produzione”. Importazione ed esportazione sembrano termini divenuti ormai chiave determinante del successo aziendale, complici di questa “rivoluzione globale” che sta interessando tutte le logiche dei processi politici ed economici dei Paesi industrializzati.

 

Molti analisti del marketing, economi anche di fama mondiale e taluni imprenditori di spicco, tuttavia, hanno recentemente messo in critica il concetto di “global”, ritornando un passo indietro. E’ necessario anzitutto illustrarne il gergo per poterne poi analizzare le logiche:

 

per “globalizzazione” si intende un processo d’interdipendenze economiche, sociali, culturali, politiche e tecnologiche i cui effetti positivi e negativi hanno una rilevanza planetaria, tendendo ad uniformare il commercio, le culture, i costumi e il pensiero. E’ importante stabilire che il termine è un neologismo utilizzato dagli economisti per riferirsi prevalentemente agli aspetti economici delle relazioni fra popoli e aziende multinazionali;

  • aspetti positivi della globalizzazione: la velocità delle comunicazioni, l’opportunità di crescita economica per Paesi a rimasti ai margini dell’economia, la riduzione dei costi per l’utente finale grazie all’incremento della concorrenza su scala internazionale;
  • gli aspetti negativi: la guerra di prezzo nei vari mercati con il depauperamento delle risorse e delle proprietà intellettuali dei beni offerti, la perdita delle identità locali, la riduzione della sovranità nazionale e dell’autonomia delle economie locali, la diminuzione della privacy, nonché il degrado ambientale ed il rischio dell’aumento delle disparità sociali.

Con il termine “glocalizzazione” (o glocalismo), introdotto dal sociologo Zygmunt Bauman per adeguare il panorama della globalizzazione alle realtà locali, così da studiarne meglio le loro relazioni con gli ambienti internazionali, vengono affermate:

  • la creazione o distribuzione di prodotti e servizi ideati per un mercato globale o internazionale, ma modificati in base alle leggi o alla cultura locale;
  • l’uso di tecnologie di comunicazione elettronica, come internet, per fornire servizi locali su base globale o internazionale (a titolo di esempio,Craigslist e Meetup sono esempi di applicazioni web glocalizzate);
  • la creazione di strutture organizzative locali, che operano su culture e bisogni locali, al fine di diventare multinazionali o globali. Questo comportamento è stato seguito da varie aziende e corporation, ad esempio dall’IBM.

Per “localizzazione” (o localismo) in economia è un insieme di filosofie politiche che danno priorità alle realtà locali, sostenendo ad esempio la produzione locale e il consumo locale di beni, il controllo locale del governo, e la promozione della storia, della cultura e dell’identità locale. Il concetto di localizzazione si oppone sostanzialmente al concetto di globalizzazione.

(Def. Wikipedia)

 

Global, glocal, local: tre accezioni economiche che determinano in modo univoco le variabili del marketing aziendale e della comunicazione, con particolare riferimento al target destinatario, come illustreremo in modo più approfondito nei prossimi articoli.