Design sartoriale

La storia è sempre espressa nel modo di vestire, di tutti i tempi. Ci resta il cuore attaccato all’abito… se no non c’è”.

 

In queste parole di una delle sorelle Fontana, la sintesi del concetto di “stile”, che ha conclamato il valore del Made in Italy all’estero. Ava Gardner fu così entusiasta delle creazioni delle Sorelle Fontana che impose alle major americane la clausola che tutti i suoi abiti di scena dovessero essere ideati e confezionati dall’atelier romano. Così come afferma Roberta Fontana, figlia di Giovanna: “Zia Micol ha sempre tenuto molto, ma anche le altre due sorelle, a reputarsi sarte più che creatrici perché sarte è un qualcosa di più vero di più importante.”

 

Dalla storia della moda italiana degli anni ’50 e della Dolce Vita, uno spunto più che mai attuale. La creazione di uno stile fu un intento comune: il mondo aveva appena visto il termine di una guerra che aveva minato i valori umani e distrutto ogni paese. Con la mostra di moda italiana organizzata da Giovanni Battista Giorgini nel1951, l’arte sartoriale italiana incrocia il cinema e il mondo delle arti e rinasce nel termine “boutique”, quali piccoli laboratori creativi amati dai buyer esteri, che si fanno ambasciatori della moda italiana oltre confine.

Nell’esempio delle Fontana, si possono individuare alcuni punti chiave che potrebbero intendersi precise indicazioni attuali anche per il settore dell’architettura e del design d’interno:

  • i loro abiti avevano alcune caratteristiche inconfondibili: erano conservativi e semplici. Nella Roma della celluloide gli stili e costumi vengono intercalati nella realtà di tutti i giorni;
  • lo studio e l’ideazione di ogni abito è maniacale e sempre orientata ai valori della maison: eleganza e sobrietà;
  • un giovane Renato Balestra, designer dell’azienda, sa sporcarsi le mani: porta infatti i tessuti in magazzino per poter apprendere le loro caratteristiche e differenze ed arricchire così le proprie competenze. In tal modo non vi è alcuna separazione tra testa e mani dell’azienda, assieme al cuore delle sorelle stesse;
  • il celeberrimo modello “Pretino” narra l’unicità dell’Italia, che accoglie al suo interno la Chiesa cattolica ed il Vaticano, ed i suoi valori culturali. E’ unico e famoso proprio per questo;
  • il rapporto tra le Sorelle Fontana ed i loro clienti è molto stretto: nel camerino si custodiscono i segreti di ogni donna e l’abito diventa occasione di confidenze. Il legame umano, amichevole sebbene professionale, fu la vera virtù che seppero conservare;
  • l’atelier aprì le porte al cinema, divenendo set cinematografico. Nessun velo a coprire segreti, dato che il vero cuore dell’azienda, perciò non replicabile, è nell’autenticità dello stile e nelle persone che lo fanno;
  • con l’inizio della guerra vengono indotti dal regime nuovi materiali, quali il rayon, il lanital e l’orbace. L’atelier si rifiuta di utilizzare questi tessuti, grezzi e poveri, guardando invece alla cultura del passato per costruire la nuova moda italiana.

La storia è determinata da cicli che si ripetono: il nostro presente non è poi così diverso dal periodo del dopoguerra. Stavolta si parla di guerra economica e tecnologica, il globalismo ed i format televisivi sul digitale hanno segnato un impoverimento del riconoscimento rurale ed una conseguente crisi dei valori. I prodotti di casa nel loro design segnalano un minimalismo generalizzato che non tiene conto della personalità del contesto in cui essi vengono prodotti ne tantomeno consumati. Un’ipotesi di ripartenza potrebbe derivare dalla storia della moda italiana, pietra miliare del Made in Italy da almeno un secolo a questa parte.

 

Per ulteriori approfondimenti:

 

Le sorelle Fontana

http://www.raistoria.rai.it/articoli/italiani-“sorelle-fontana-una-questione-di-stile”/37162/default.aspx