Lo spot

Soprattutto in un mercato “maturo”, la marca diventa un elemento vitale di collegamento tra produttore ed acquirente. Essa serve a indicare e garantire la provenienza del prodotto da una determinata azienda, a offrire al consumatore un riferimento costante per individuare e riconoscere i prodotti e la rete di vendita; sulla base di ciò, la pubblicità comunica il cosiddetto “valore d’uso” ed il “valore aggiunto”, il “significato simbolico”. Contribuendo a costruire la marca, la pubblicità diventa soprattutto strumento di differenziazione dei prodotti e, in tal modo, di orientamento della domanda, capace di instaurare un rapporto di fedeltà da parte dei consumatori, talvolta in grado di tradursi in una ‘barriera all’entrata’ sul mercato da parte di altre imprese o di altri prodotti.

 

La strategia pubblicitaria si concentra su insieme di scelte volte a stabilire come la pubblicità deve conseguire il proprio obiettivo: come studiare il Target Group, quali messaggi indirizzargli, attraverso quali mezzi, in quale periodo di tempo, in base a quale stanziamento (budget).

Dalla strategia di comunicazione derivano le indicazioni essenziali per la realizzazione della campagna pubblicitaria: un insieme articolato, coordinato e programmato di iniziative, il cui aspetto più caratteristico è costituito dall’idea creativa e dalla sua elaborazione attraverso i messaggi da diffondere mediante i mezzi prescelti (Creatività pubblicitaria). Generalmente la realizzazione delle campagne viene affidata dalle imprese a organizzazioni specializzate, le agenzie di pubblicità.

 

In merito all’appetibilità di uno spazio televisivo abbiamo già parlato.

Per quanto riguarda invece il linguaggio di uno spot pubblicitario ed alla sua creazione, vale la pena riprendere alcune fasi storiche che hanno segnato l’affermazione dello spot televisivo: un messaggio preregistrato, reso possibile proprio dall’evoluzione tecnica che viene ripetuto più volte, anche nella stessa giornata. Con la chiusura del Carosello, il nome dello sponsor passa dal presentatore o dalla valletta degli anni ’60 e ’70, ad un breve inciso, studiato nei minimi particolari da professionisti, con l’intento di ammortizzare i costi in una campagna pubblicitaria prolungata nel tempo.

Più recentemente e con la iper saturazione dei mercati, la continua necessità di segmentazione dei Target Group, sempre più specifici, ha modificato, i protagonisti principali degli spot pubblicitari, rivolgendo l’attenzione a single (si veda Banderas, che ha brillantemente sostituito la celebre “famiglia del Mulino Bianco”), anziani, immigrati e coppie di fatto.

 

 

Nonostante l’evoluzione dei Target Group, una costante pubblicitaria, che si affermò già sul finire degli anni ’80, è rappresentata dall’uso dello “storytelling”, il racconto emozionale alla base degli spot, di solito basato su una famiglia, spesso mitizzata e lontana dalla realtà, che consuma o usa il prodotto reclamizzato. Questo genere di racconto funziona ancora oggi: le neuroscienze indicano nei “neuroni specchio” la risposta all’intenzionalità delle persone.

 

Questa classe specifica di neuroni, infatti, si attiva sia quando un individuo esegue un’azione sia quando lo stesso individuo osserva la medesima azione compiuta da un altro soggetto; l’apprendimento avviene attraverso l’imitazione e la simulazione.  Per questo motivo molto spesso nella pubblicità massiva è d’uso la figura del testimonial: può trattarsi di un personaggio famoso, ma, soprattutto dopo l’avvento del social network e dell’istituzione della cosiddetta “brand reputation” (la reputazione di una marca nel web), tale figura può essere ricoperta anche da utenti che abbiano provato/testato un dato prodotto e/o servizio.

 

https://www.youtube.com/watch?v=msS5iW2uABE

 

In generale lo scopo del testimonial è di raggiungere un pubblico sempre maggiore e convincere lo stesso all’acquisto. Per aumentare l’efficacia del testimonial, è necessario che esso sia:

  • specifico (le testimonianze vaghe solitamente non convincono)
  • credibile, ponendo talvolta anche delle obiezioni (un utente solo entusiasta è meno convincente)
  • contestualizzato (ovvero proponga informazioni normalmente chieste nel momento dell’acquisto)
  • relazionale (cooè parli con gli utilizzatori potenziali del prodotto).

Alla storia ed all’eventuale testimonial, lo spot solitamente propone una frase concettosa e sintetica, orecchiabile e suggestiva, chiamata “slogan” o “claim pubblicitario”; alcuni slogan nella storia si sono rivelati così azzeccati da segnare poi intere ere sociopolitiche: “Amaro da bere”, “Dove c’è Barilla c’è casa” etc. E’ bene sottolineare che lo slogan varia da campagna a campagna, poiché rappresenta la promessa che un prodotto scambia in quel dato periodo con il suo consumatore ideale. Naturalmente anch’esso è un elemento che deve mantenere la coerenza anzitutto con il od i Target Group, in seconda battuta con il contenuto della promìse (promessa), l’eventuale testimonial e le caratteristiche del prodotto che rispondono al bisogno del potenziale consumatore.

 

Per ulteriori approfondimenti:

qualche spunto dalla critica di Aldo Grasso, che ha analizzato il fenomeno degli spot pubblicitari trasmessi sulle tv locali, soffermandosi prevalentemente sulle esperienze lombarde.

Questo è un estrapolato dell’elenco degli spot pubblicitari indicati da Aldo Grasso:

  • KATIA ARREDAMENTI: con lo slogan “Sciura Maria grazie di esistere”, che realizza anche piccoli serial ambientati in località di interesse turistico note o meno note.
  • IL MERCATONE DELL’ARREDAMENTO DI FIZZONASCO: sempre identico da lustri, basato sull’esibizione in stile americano di majorettes.
  • EUROARREDI: con lo slogan “non ci credi, se non vedi”, esortazione per certi aspetti similare al “provare per credere” di Guido Angeli del mobilificio Aiazzone.
  • CASA DEL BAGNO: “Jingle molto orecchiabile con musica soft, molto rilassante”
  • MIRACLE BLADE: spot doppiato dall’inglese dove un cuoco italo-americano fa mostra dei possibili usi che si possono fare dei coltelli in vendita con prezzo scontato alle prime 50 telefonate.

Valori e competenze

Sempre più spesso le aziende, per poter far fronte alla concorrenza e all’evoluzione del proprio mercato, devono offrire ai clienti certezze sulla qualità dei prodotti/servizi sviluppati e trasparenza nei processi aziendali.

Nell’ultimo ventennio il mondo delle imprese, sia manifatturiere che di servizio, sia pubbliche che private, è stato protagonista di una vera e propria rivoluzione della qualità  che ha profondamente influenzato le strategie d’impresa, il management, il ruolo delle persone e la modalità con cui approcciare le diverse attività aziendali. Questa rivoluzione globale ha sottolineato per le aziende un vero e proprio passaggio cruciale, che in molti casi è divenuto obbligatorio per la sopravvivenza nel mercato: instaurare un Sistema di Gestione per la Qualità (SGQ) in grado di essere certificato da un ente accreditato.

La necessità di avere un riferimento internazionale, attraverso il quale stabilire la qualità del proprio lavoro, ha determinato, nel 1987, l’emanazione, da parte dell’ISO (International Organization for Standardization), di una famiglia di norme internazionali. Tale famiglia contiene un insieme di regole il cui scopo è garantire che un’azienda implementi un sistema di gestione interna in grado di garantire la qualità dei prodotti/servizi offerti. 

La volontà di intraprendere un percorso di certificazione da parte delle aziende sia spesso dettata solamente da logiche di mercato, è necessario rimarcare come quest’obbligo si può trasformare in una vera e propria opportunità “sociale”. Infatti, da un lato si rivedono in chiave di business i propri asset strategici ed operativi, ma dall’altro tale percorso si può rivelare un vero e proprio progetto “comune”, strategico per mantenere:

  • un alto coinvolgimento e affiatamento tra i collaboratori, 
  • una contaminazione e aumento delle competenze in un’ottica di miglioramento continuo.

Nella sua etimologia il termine “competenza” (dal latino “cum-petere”) significa “chiedere”, “dirigersi a”, ossia la “piena capacità di orientarsi in determinati campi con legittimazione di autorità e ruolo ad esprimere un mandato”.

Nelle aziende, in particolare, con i propri collaboratori, si instaura una corrispondenza tra compito atteso e capacità del soggetto ad assolverlo.

La nozione di competenza riguarda sia le prestazioni di fronte ad un compito, sia i processi che intervengono nell’esecuzione di una o più attività: ne deriva che le prestazioni esplicite ed osservabili sono condizione necessaria ma tutt’altro che sufficiente per descrivere la competenza, in quanto pratica contestuale i cui singoli elementi sono impossibili da disaggregare e misurare. La competenza così intesa si può definire “contestuale”, legata ovvero all’ambiente di azione, e strategica rispetto alle forme possibili di decisione e di intervento.

Lo studio, l’analisi ed il perfezionamento dei processi di apprendimento implica, quindi, l’attenzione ai contesti intesi come luoghi all’interno dei quali l’individuo stesso trova una possibilità per la sua espressione.

Il contesto è formativo perché plasma il modo in cui gli individui costruiscono i significati.

Tali contesti si sviluppano nel corso dell’interazione sociale e non possono pertanto essere creati od imposti da singoli attori (si veda il concetto di “habitus” espresso da P. Bourdieu*): nello studio e nella ricerca su come gli individui apprendono mentre lavorano e su come sia possibile sostenere il recesso di apprendimento, è indispensabile fare riferimento al contesto socioculturale ed al contesto delle comunità di pratiche.

L’idea di cultura, nel nostro caso da intendersi come “cultura aziendale”, come processo di costruzione, ricostruzione e distruzione dei significati (Piccardo e Benozzo, 1996) richiama l’opera di Weick che parla di attivazione di ambienti attraverso l’agire organizzativo e l’attribuzione di senso.

Una volta attivati gli ambienti, essi hanno un effetto retroattivo sugli attori e sulle sue attività, condizionate. La cultura, quale “struttura di significato nei termini della quale gli esseri umani interpretano la loro esperienza e dirigono la loro azione” (Geertz, 1987), ha un tratto tangibile nel sistema di simboli che veicolano codici di significato. I simboli presenti in un contesto socioculturale incorporano ed esprimono relazioni. Essi rappresentano un insieme di forme che vanno dalla fisionomia degli spazi e degli edifici, agli arredamenti, alle consuetudini fattive e fattuali dei suoi partecipanti e che costituiscono un insieme di elementi attraverso i quali è possibile entrare, interagire ed uscire da un determinato contesto che orienta le azioni e le decisioni dei suoi partecipanti.

In questa accezione questo articolo si lega al post pubblicato nel nostro blog I fondamenti aziendali:l’apprendimento di un qualsiasi saper fare è mediato dalle relazioni, sia nella fase di formazione che in quella del lavoro, in cui l’individuo incontra, all’interno della singola organizzazione, altri individui con cui dà vita ad un sistema di relazioni che egli sente come maggiormente significative relativamente al compito assegnato (compito sociale, non prettamente contestualizzato alla propria mansione professionale).

*Testi di approfondimento:

Competenze e formazione – organizzazione lavoro apprendimento – Ed. Guerini e Associati

L’Italia in salotto

Al convegno organizzato da Google “Il Made in Italy e la sfida digitale” svoltosi a Roma il 9 ottobre del 2013, il rapporto sinergico tra digitale ed eccellenze italiane è stato interpretato dal caso di Berto Salotti. “Il mondo digitale, nel 2000, era un’opportunità nuova per raccontarci (…) ll web ci ha permesso di collegare la Brianza al resto del mondo, è un canale attraverso il quale rendere disponibili ovunque prodotti fatti a mano e su misura, come se ci fosse un laboratorio artigiano sotto casa di ognuno”.

In questo estrapolato dell’intervista al CEO Filippo Berto, la sintesi di come artigianalità, tradizioni e volti risaltino il radicamento sul territorio dell’azienda brianzola, contemporaneamente alla sua innovazione e rivoluzione digitale. Un chiaro esempio di come l’era digitale possa permettere alle aziende italiane di piccole o medie dimensioni di essere ancora competitive sul mercato estero, se non addirittura “distintive”! Secondo la ricerca Googler-Doxa infatti maturità digitale ed export hanno un impatto diretto anche sul fatturato: le imprese digitalmente avanzate dichiarano in media che il 24% del fatturato derivante dall’export è realizzato proprio attraverso il canale digitale.

Berto infatti prosegue: “Sarebbe un errore concentrarsi su una competizione basata sul prezzo. Oggi le aziende artigiane hanno a disposizione degli strumenti incredibili per distribuire nel mondo e comunicare il valore della manifattura italiana. (…) Noi ci proviamo ogni giorno attraverso nuove idee, nuovi approcci nella produzione e nella distribuzione, nuovi modi di comunicare attraverso lo storytelling, un sito e un blog tradotto in sei lingue”. Nato nel 2004, Bertostory è stato il primo esempio di corporate blog di settore. “Grazie al blog ed ai social network possiamo dialogare con i nostri clienti, mostrare lo stato di avanzamento di una produzione o raccontare “live” progetti. Più che conservare, bisognerebbe “preservare” il saper fare del nostro tessuto produttivo”.

Dall’approfondimento del caso di Berto Salotti, alcune precisazioni in merito alla comunicazione digitale: l’azienda ha un’anima reale, rappresentata dalla sua storia, altrettanto reale e da raccontare. Il suo claim, “La tua tappezzeria sartoriale”, pone saggiamente l’accento sul valore del lavoro artigianale dell’azienda, fatto di facce e di mani, oltre che di un “saper fare” tipico del nostro territorio, tutto italiano. I valori aziendali vengono espressi in modo chiaro e diretto, perché essi esistono e sono condivisi e “sentiti” da tutto il team, che ad oggi vanta venticinque componenti. Stare nel web non significa spalmare la comunicazione su tutti i social network a disposizione, bensì costruire un percorso contenutistico e scegliere coerentemente con gli argomenti salienti i canali più corretti di espressione.

Per ulteriori approfondimenti:
Berto Salotti

Il grande schermo.

Le ragioni che riguardano la pubblicità al cinema si fondano principalmente sulle motivazioni del suo pubblico.

I report Cinetel in Italia evidenziano che il numero di biglietti staccati al cinema nell’ultimo triennio è in ascesa, confermando anche un aumento degli incassi e del numero di film distribuiti. Il trend vede in particolare un ritorno nelle sale dei giovani tra i 20 e i 34 anni, forte del fascino che la sala è riuscita a riproporre (fonte: Rapporto Giovani di Istituto Toniolo, Fondazione Cariplo e Intesa Sanpaolo). Il cinema ha un ottimo potenziale a livello pubblicitario. 

Trailer de La Dolce Vita, 1960.

Si è più volte trattato l’interesse peculiare di un mezzo pubblicitario per il cosiddetto “target di riferimento” e negli articoli precedenti sono state individuate alcune strategie per rendere uno spot appetibile e/o emozionante, al fine di conquistare l’attenzione del potenziale consumatore.

Il cinema rappresenta il mezzo dal quale tali scelte possono essere pre-determinate: la scelta del film al quale associare una campagna pubblicitaria ed i contenuti che la stessa dovrebbe avere,  riguarda in particolar modo la trama ed i momenti salienti del film, il tipo di emozione che essi  generano ed i valori (la morale) che la pellicola vuole comunicare, valori i quali devono essere coerenti ed in linea con la propria cultura aziendale.

Un facile esempio: 

nel film di animazione “La bella addormentata nel bosco” di Disney del 1959, il principe colpisce mortalmente la strega Malefica al cuore con la sua spada, la quale muore precipitando in un burrone.

In Maleficent, live action del 2014, Malefica, ritrovata la felicità giovanile, fa rifiorire la brughiera e dichiara la giovane Aurora quale nuova regina, incoronandola.

A quale delle due versioni fareste corrispondere la vostra azienda?

In merito ai protagonisti, già nella fase di casting gli attori vengono selezionati non solo per la loro capacità di recitazione, ma anche in base alla personificazione dei vari personaggi, vagliandone le caratteristiche fisiche (quali aspetti fisici ed estetici, storici etc.) sui quali lo spettatore riformula la propria immagine, con le medesime logiche utilizzate nella scelta di un testimonial nella pubblicità in tv. Le neuroscienze infatti hanno approfondito il legame tra i neuroni specchio ed i processi di imitazione ed emulazione, attraverso l’empatia.

In Italia negli ultimi vent’anni il numero di spettatori entrati nelle sale si è raramente scostato dalla soglia dei 100 milioni di biglietti staccati. Solo le uscite dei film di Checco Zalone hanno permesso di vedere numeri in forte crescita, segnale che il pubblico italiano si è ritrovato nella nuova comicità.

Un esempio chiarificatore:

“Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” è un film del 1974 di Lina Wertmüller, diventato una pellicola di culto, ‘“Perchè (come spiega l’attore protagonista, Giancarlo Giannini) racconta una bellissima esperienza, ovvero di due persone che inizialmente si odiano che si ritrovano a contatto con l’infinito e la natura, con la freschezza della vita (…)”. Il remake del 2002 ad opera del regista Guy Ritchie, ed interpretato da Adriano Giannini nel ruolo che fu del padre, e Madonna, fu invece un flop totale ai botteghini. Sebbene i due attori fossero già noti, la loro immagine non venne correttamente associata alla trama della celeberrima pellicola da parte del pubblico, che vide un’icona dell’anticonformismo sovrapporsi al ruolo di una classica nobildonna e un figlio d’arte incarnare i panni di suo padre.  

Per quanto riguarda il pubblico (ovvero il target di riferimento), è da puntualizzare il fatto che le sale cinematografiche sono localizzate in un dato raggio chilometrico dai principali centri urbani e che durante le proiezioni il pubblico è impossibilitato allo zapping, mantenendo perciò una soglia dell’attenzione molto più alta rispetto ad altri media. 

Tuttavia sul grande schermo sono arrivati, oltre ai film, anche eventi live e molti altri contenuti alternativi, consentendo anche una maggiore differenziazione del prezzo del biglietto e differenziazione del target. La maggior parte delle proiezioni anticipano o seguono i principali trends sociali del momento.

La Grande Bellezza ed il cinema d’essai

Le preferenze per particolari generi cinematografici a parte, vedono i ragazzi fino ai 30 anni preferire gli horror, gli action-movie e i fantasy, apprezzando generalmente la serialità e le storie brevi. 

Il pubblico adulto, invece, è per le pellicole d’essai ed alla ricerca di contenuti storici e sociali.

E’ inoltre possibile distinguere il target in base alla struttura prescelta: il pubblico dei multisala e dei multiplex sceglie queste strutture per l’innovazione tecnologica, i film in cartellone (principalmente blockbuster) e l’offerta di contorno alla sala. Il pubblico delle piccole sale cittadine, più maturo e abituato al cinema di un tempo, predilige i film di qualità e talvolta i cineforum

Per il 2019 l’obiettivo del mercato cinematografico è di allungare la stagione, con buone pellicole anche d’estate: in questa stagione le giornate sono più lunghe ed i bambini non vanno a scuola, quindi c’è più tempo da poter dedicare alla famiglia ed alle attività condivise. 

In conclusione, per ipotizzare il rendimento di una campagna pubblicitaria al cinema ed ottimizzare gli investimenti futuri, è bene ricercare report che permettano di comprendere il numero di ingressi ai cinema selezionati, i film più gettonati (attenzione poi ad analizzare le tematiche descritte in questo articolo), giorni e fasce orarie più seguite.

Per ulteriori approfondimenti:

Gli albori di ciò che fu definito “La Dolce Vita” italiana:

https://saper.altervista.org/quando-indro-montanelli-vide-per-la-prima-volta-la-dolce-vita/