Negli Uffizi

Nel video, trailer del film “La zuppa del demonio” di Davide Ferrario, il rapporto tra autorità, potere, industria ed economia, offre alcuni temi culturali per introdurre l’analisi dell’architettura aziendale che ha segnato l’intero ‘900.

 

Come abbiamo già avuto modo di approfondire, nella OST (Open Space Technology, quella vera, che esime dagli “open space” intesi come meri “spazi aperti”) l’impiego di capacità e competenze organizzative, gestionali e tecniche viene messo al centro dell’azienda, tradizionalmente negli uffici l’architettura degli spazi aziendali argomenta in merito alla centralizzazione della proprietà e della direzione.

 

In effetti, il termine stesso di “ufficio” indica il dovere, il compito inerente alla funzione o alla mansione esercitata, alla carica o al posto ricoperti. Precedentemente esisteva il “gabinetto”, inteso nel significato originario del termine come un piccolo locale adibito ad uso personale, alla stregua di un ufficio, solitamente utilizzato per colloqui riservati o per il ricevimento di ospiti.

In questa chiave architettonica la ridondanza del contenuto viene accentuata sull’ordine gerarchico e sul controllo interno dell’organizzazione aziendale: uffici più grandi, solitamente predisposti nelle zone più soleggiate o affacciate sui panorami circostanti, sono assegnate alla proprietà od all’amministratore delegato. Vi si affacciano gli uffici della segreteria direzionale e l’amministrazione, per poi assegnare via via in “scatole” sempre più piccole ed a comparti stagni le competenze tecniche, gli uffici di “customer” (care, service etc.) ed, infine, il reparto di produzione, solitamente staccato dal resto della compagine “impiegatizia”.

Un esempio storico, tutto italiano si trova della progettazione degli Uffizi di Firenze, che  permettono di capirne le dinamiche e la volontà architettonica, economica, politica e socio-culturale.

A metà del XVI secolo, Vasari fu chiamato da Cosimo a progettare gli uffici che avrebbero dovuto contenere tutte le magistrature cittadine. La peculiarità del progetto fu la risposta ad una esigenza pratica, che consisteva nel fatto che le magistrature non avevano lo stesso ruolo all’interno della città per cui avevano bisogno di spazi architettonici diversi. Uffizi lunghi furono preposti alle magistrature più importanti, Uffizi corti alle magistrature minori. L’ordine architettonico che prevalse fu quello dorico, ad indice di autorevolezza e fermezza, mentre le tre campate di testata vennero contraddistinte da un ordine composito, compromesso voluto da Cosimo stesso.

 

In conclusione, l’Open Space mendace, che ha rappresentato negli ultimi due decenni un vezzo di modernismo in svariate aziende sembra già anacronistico. Il ritorno ai più classici uffici sembra fare capolino a più riprese. Non ci sono architetture giuste o sbagliate, purché ancora una volta l’architettura stessa si faccia interprete dei valori culturali, stavolta riferiti alla corrispondente importanza delle competenze strutturali all’azienda, parafrasando, quindi, le parole di Franco Fortini: “Le parti del discorso come parti della costruzione: l’ingegneria si è unita al paesaggio, è diventata architettura (…)”.

Aspetti fisiologici l’edilizia

La matrice SWOT della piccola ricerca condotta in Klimahouse ha chiarito la rilevanza strategica del marketing: la conoscenza delle aspettative della domanda, sempre più orientata ai bisogni di appartenenza e di identificazione con una classe sociale, che la crisi economica ha ulteriormente avvalorato, e le necessità dell’impresa di raccordarsi al mercato di riferimento in un rapporto sempre più stretto, instaura un ciclo aperto tra il marketing, che entra all’inizio del processo di produzione e va oltre il processo distributivo, con l’orientamento aziendale, secondo un approccio di “adattamento al mercato”.

Gli aspetti fisiologici l’edilizia riguardano in modo sinergico il settore ed i singoli prodotti.

Interpretando graficamente i dati dell’ultimo decennio, il “ciclo di vita del settore” (CVS) attesta una situazione preoccupante. Si sono analizzati i settori edile e delle finiture:

Sono principalmente due i piani sui quali il marketing deve rapportarsi in azienda: uno strategico, l’altro operativo, entrambi in forte connessione al fine di trovare una coerente realizzazione nella gestione del marketing mix.

Rispetto al CVS (Ciclo di vita del settore), il riepilogo situazionale è il seguente:

La fase di declino, inoltre, offre tre ipotesi:

  • la “rivitalizzazione”, derivante principalmente da finanziamenti pubblici e dall’ingresso sul mercato di nuove tecnologie sia costruttive che impiantistiche o di soluzioni alternative, quali i concetti di classificazione energetica dell’immobile fino al passive house;
  • la “pietrificazione”, solitamente citata per il “ciclo di vita del prodotto” (CVP), che nel settore edile vede laterizio e calcestruzzo fossilizzati in modelli economici ormai desueti, con conseguente riduzione della domanda e l’ingresso nella guerra dei prezzi;
  • il “declino”, che conclude la sua massima fase con l’uscita definitiva dal mercato di alcune tipologie edili (ad esempio nell’uso della pietra quale materiale da costruzione).

Esistono molteplici strategie di marketing che possono operare verso un processo di rivitalizzazione di un dato mercato; tuttavia tali politiche aziendali devono essere ricercate ed espresse già in fase di maturità del mercato, poiché una riconversione implica necessariamente dei costi in termini di tecnologie, riorganizzazione aziendale, ricerche di mercato, comunicazione etc. che nella fase di flessione della curva reddituale sarebbero più difficili da sostenere. Senza poi contare il cosiddetto “danno all’immagine” che un’azienda subisce agli albori del declino, danno stimabile con costi maggiori addirittura rispetto all’avviamento aziendale e strategie di marketing complesse che non sempre riescono a garantire un rimarginare della ferita del marchio.

Pubblicità radiofonica: in auge

Fare pubblicità attraverso la radio, rende: la campagna “La radio rende”, realizzata da Trip Multimedia Group e promossa da FCP-Assoradio, evidenzia alcune salienze del mezzo radiofonico in riferimento alla pubblicità. Le argomentazioni che ripropongono la radio quale mezzo pubblicitario, dopo un periodo di crisi e dato l’avvento del social media marketing, evidenziano alcuni fattori chiave di questo canale:

  • la radio è social poiché è molto influente anche sul web, 
  • è coinvolgente, dato che crea emozioni e coinvolgimento,
  • è persuasiva, citando gli speaker radiofonici quali influencer,
  • è evocativa se si parte dal presupposto  che una voce possa essere più convincente di un’immagine.

Fino a questo punto, tuttavia, essa rimane paragonabile ad altri mass media.

 

Tuttavia  la radio ha alcune caratteristiche che la TV, ad esempio, non ha: mentre negli anni ’50 e ’60 veniva ascoltata principalmente in casa, date anche le sue dimensioni fisiche, già dagli anni ’80 inizia a diventare un luogo mediatico di aggregazione: sono molti i ricordi legati alla “radio in spalla” come effetto globale della sua portabilità. Ad oggi questo strumento di comunicazione è sempre presente, perché fruibile attraverso più dispositivi ed in molteplici contesti. Basta pensare che in moltissimi ambienti aperti al pubblico c’è sempre un sottofondo radiofonico, come nei supermercati, nelle sale di attesa, talvolta anche all’interno degli uffici. L’uso comune, inoltre, prevede che la si accenda appena saliti in macchina e la si ascolti nei tempi di percorrenza di un tragitto, soprattutto se lungo.

 

Negli ultimi anni, anche la radio si è resa più attenta alla propria adattabilità al target, grazie alla  localizzazione geografica, ai format proposti, sempre più orientarti a precise categorie di ascoltatori ed agli orari di emissione di un programma: i contenuti arrivano all’ascoltatore in vari momenti chiave della giornata (talvolta intercettano proprio il momento in cui egli si sta recando a fare shopping).

Lo spot radiofonico lascia infine molta immaginazione all’ascoltatore e per il committente di una campagna permette maggiori margini alla creatività, a costi non troppo elevati. Una campagna radiofonica poi, si attiva in tempi brevi ed è pertanto più veloce rispetto a campagne ipotizzate per altri canali di comunicazione.

La difficoltà principale risiede nell’individuazione della giusta strategia di comunicazione e nella scelta delle emittenti e dei prodotti radiofonici più adatti. 

In particolare, la radio è indicata per la promozione di eventi, di offerte speciali e di tutte quelle iniziative che necessitano di una comunicazione rapida e intensa.

 

 

Di certo, la tecnologia svolge un ruolo fondamentale per quanto riguarda la portabilità dell’apparecchio: i nuovi dispositivi audio, che ora permettono di riprodurre i contenuti direttamente dal proprio Smartphone, unitamente alle sempre più ridotte dimensioni dei supporti, permettono di ricavare del tempo personale da dedicare all’ascolto del palinsesto radiofonico, pubblicità inclusa, anche durante le attività sportive, ad esempio.

Soprattutto in quei momenti e rispetto alla TV, lo zapping per radio è meno diffuso, motivo per il quale uno spot radiofonico potrebbe permeare maggiormente rispetto ai contesti visivi.

 

Per quanto compete la durata di un radiocomunicato, essa dipende dalla strategia di comunicazione e dal budget a disposizione: in Italia lo standard corrisponde ad uno spot da 20 o 30 secondi, tuttavia vengono creati anche comunicati da 60 e da 15 secondi.

Infatti in alcune circostanze può essere conveniente puntare su un certo numero di spot di durata maggiore (30 o 60 secondi) e utilizzare spot da 15 secondi come rinforzo alla comunicazione. L’utilizzo di comunicati di minore durata, infatti, può aiutare ad ottimizzare il budget, perché:

  • uno spazio da 30 secondi costa mediamente la metà di uno da 60
  • uno spazio da 20 secondi costa mediamente il 20% in meno di uno da 30 (il 10% in meno sui network nazionali)
  • uno spazio da 15 secondi costa mediamente il 30% in meno di uno da 30 (il 20% in meno sui network nazionali)

Comunemente un singolo passaggio da 30 secondi su una radio può costare da pochi euro a diverse centinaia di euro. Il prezzo è principalmente legato alla copertura geografica della radio ed alla sua audience in termini di ascolto medio giornaliero.

 

In merito al costo della produzione di un radiocomunicato professionale, invece, i prezzi si aggirano tra un centinaio di Euro fino a qualche migliaio di euro in base al tipo di creatività, alle voci e alle musiche utilizzate, alla diffusione del messaggio (locale, regionale o nazionale, network o emittenti locali, etc.) e ad altri parametri.

Un bell’esempio di pubblicità radiofonica dell’ultimo periodo è di Mapei Spa:

Sull’efficacia delle campagne, molto dipende dagli obiettivi previsti:

  • se lo scopo è far conoscere un prodotto e/o servizio, il fattore “tempo” è determinante ed è possibile presumere la necessità di una frequenza giornaliera bassa (es. 4-5 comunicati) per periodi lunghi (ragioniamo in termini di mesi o anni);
  • pianificazioni di lungo periodo a budget limitato sono consentite attraverso il ricorso al “flighting”, ovvero a campagne pubblicitarie di 3-4 settimane ripetute più volte nell’arco dell’anno, che solitamente prevedono una frequenza giornaliera di 6-8 passaggi;
  • per la promozione di eventi od offerta speciali, invece, solitamente viene consigliata un’alta frequenza giornaliera (es. 10-12 comunicati) per un breve periodo di tempo (2-3 settimane).

 

Il ruolo fondamentale delle agenzie è riconducibile alla consulenza ogni qual volta si necessiti di:

  • conoscere correttamente il panorama radiofonico, che è molto vasto e articolato, e scegliere le emittenti giuste;
  • un supporto nella definizione di una strategia di comunicazione;
  • un aiuto nella realizzazione di un radiocomunicato;
  • condurre le trattative con i mezzi per ottenere le migliori condizioni, ottimizzando il budget.

Il consiglio, con o senza l’ausilio di un’agenzia specializzata, rimane comunque di contattare i reparti vendite delle radio o delle concessionarie e richiedere tutte le informazioni necessarie ad assicurarsi che l’emittente sia in linea con gli obiettivi previsti e con il target di riferimento.

 

Per ulteriori approfondimenti:

www.laradiorende.it

Psicologia ambientale

Poco nota in Italia è la branca della psicologia “ambientale” (Environmental Psychology), campo “di frontiera” tra la psicologia e gli altri vari ambiti, sia disciplinari che tecnici, riguardanti problemi attinenti al cambiamento dell’ambiente fisico urbano e che coinvolge le discipline dell’architettura e delle scienze naturali, apportando nel dibattito due delle principali tradizioni teoriche della psicologia della percezione-cognizione e della psicologia sociale.

Alla psicologia ambientale è dedicata la categoria “progettazione”: ogni frangente dell’analisi e della strutturazione di un piano di visual merchandising dovrebbe anzittutto prendere atto dalle fasi primordiali della strategia di marketing del committente. Saper individuare il target, le azioni e le tecniche di vendita, la tipologia dei prodotti offerti, il piano di comunicazione creato dall’azienda ed interpretare correttamente tali variabili in un tempo ed in uno spazio non è facile. Il magazine Prossemica nasce anche da queste esigenze, spesso delineate nei servizi di consulenza offerti ad architetti ed interior designer, al fine di tradurre e mediare il linguaggio economico-commerciale dell’azienda e quello tecnico-progettuale del professionista.

Spazi sociofughi - foto di Clark Street Mercantile
L’interesse alla psicologia architettonica nacque tra gli anni ’60 e ’70, con una serie di sperimentazioni atte all’osservazione pragmatica dell’esistenza di aspetti spazialisociofughi”, volti a scoraggiare l’interazione sociale, o, al contrario, “sociopeti”. R. Sommer elaborerà per primo i concetti di “territorialità umana” e di “spazio personale”(1969 – “Spazio personale: la base comportamentale del disegno progettuale“), contestualmente alla diffusione dell’insoddisfazione crescente verso la progettazione “egocentrica”, vista cioè come volta principalmente a soddisfare i bisogni estetici e di auto-affermazione dell’architetto/progettista e scarsamente centrata sulle esigenze dei destinatari/utenti degli edifici stessi. Molte normative che regolano le costruzioni, pur non basandosi sulla scienza psicologica, sono comunque guidate da assunzioni circa l’impatto psicologico delle forme e dell’ergonomia stesse.

Secondo queste posizioni, Canter (1972 – Psychology for Architects) individua alcuni aspetti critici:
– la necessità di distinguere le esigenze di “adeguatezza funzionale” degli edifici, rispetto a quelle relative la forma;
– la complessità del processo progettuale, in cui nessuno progetta per sé, accentuando invece l’utilità della ricerca psicologica come prezioso contributo in tale direzione.

Spazi sociopeti - foto di Kukuh Himawan Samudro

Secondo Canter e Lee (1974) le principali informazioni che la psicologia può fornire alla progettazione dell’ambiente sono suddivisibili in tre categorie:
le attività della gente: che tipo di attività vengono svolte dalle persone, dove e come sono svolte, come cambiano;
le valutazioni differenziate: quali sono cioè le gerarchie di priorità esistenti tra queste, dal punto di vista sia pratico che valoristico;
il rapporto comportamento/ambiente: conoscere e scoprire i rapporti “interattivi” tra persone ed ambiente.

(Testo di approfondimento: Bonnes e Secchiaroli, Psicologia ambientale – Introduzione alla psicologia sociale e dell’ambiente – Ed. NIS)