Reti interconnesse

Il primo messaggio della storia è trasmesso il 24 maggio 1844 alle 8,45. Morse a Washington telegrafa a Vail a Baltimora: “What Hath God Wrought” (“Quali cose ha creato Dio”).

Gli studi di fisica dell’800 hanno cambiato radicalmente il mondo della comunicazione, che da sempre risponde al bisogno umano di arricchire un’immaginario collettivo. 

La comunicazione, nata con l’uomo, si è ulteriormente evoluta attraverso la sua rappresentazione immaginifica, necessaria a raggiungere il maggior numero possibile di destinatari, mitigando confini socio-culturali altrimenti invalicabili (M. Mc Luhan, 1967). La comunicazione ci permette di entrare in relazione con l’altro. Creare relazioni significative è uno dei bisogni fondamentali dell’essere umano.

La prima tecnologia che ha consentito la trasmissione letteralmente istantanea di dati fu il telegrafo; gli studi di fisica sull’elettromagnetismo hanno dovuto impiegare tempo e sforzi, anche attraverso gli interessi delle compagnie dei telegrafi, per dimostrare il valore rivoluzionario di questa invenzione.

All’epoca, infatti, tale sistema non permetteva la conservazione dei dati, ma si distingueva dal consueto servizio postale per la sua natura commerciale, che fece nascere il concetto di “communication provider” (un provider di servizi che ha accesso alle comunicazioni degli utenti). 

Guglielmo Marconi e l’invenzione del telegrafo.

Nel 1970 nasce il primo sito di e-commerce. Da qui inziano a svilupparsi tutti i canali e gli strumenti che oggi conosciamo, come i social media, l’email marketing, arrivando fino ai social media.

La storia dei telefoni cellulari inizia il 3 aprile 1973 quando l’ingegnere senior che lavorava per Motorola, Martin Cooper, ha usato un cellulare per chiamare un potenziale concorrente nel mercato della telefonia mobile. Questa è stata la prima chiamata da un telefono cellulare mai fatta.

Per definizione “il web marketing è la branca delle attività di marketing dell’azienda che sfrutta il canale online per studiare il mercato e sviluppare i rapporti commerciali (promozione/pubblicità, distribuzione, vendita, assistenza alla clientela, etc.) tramite il Web” (Fonte: Wikipedia).  

Questa definizione riassume più di un secolo di studi, di tecnologia e di nuovi bisogni emergenti. 

Martin Cooper e l’invenzione del cellulare.

Ad oggi Internet è pare essere diventato indispensabile: Ma è davvero così?

Dipende dal suo utilizzo. 

Le motivazioni che lo rendono tale risiedono soprattutto sulla sua base dati, la più grande del mondo. Internet offre anche gratuitamente la possibilità di monitorare l’andamento dei trends di mercato e di monitorare di contro l’andamento di un’azienda e dei suoi competitors.

Inoltre permette di entrare in relazione immediata con chiunque, senza alcun limite geografico, sebbene nell’ambiente edile spesso il mercato di riferimento sia ancora vincolato alla zona locale.

La natura commerciale del web deriva dunque principalmente dal controllo dei dati: un messaggio di comunicazione, qualunque esso sia, è in grado di raggiungere istantaneamente un target profilabile e controllabile; i risultati sono misurabili e potenzialmente virali, consentendo un aumento esponenziale dei numeri di feed-back. Ogni messaggio è inoltre riusabile e facilmente adattabile al contesto, con la conseguente riduzione dei tempi e dei costi di ricerca dei contenuti di comunicazione (il cosiddetto “content marketing”).

L’utilizzo del web, dunque, dev’essere analizzato sia in termini passivi che attivi:

talvolta è sufficiente o persona strategico utilizzare il web per l’analisi dei dati, mentre in altri casi il Core Business aziendale abbisogna di comunicazione ed utilizzo attivi di internet.

Interrelazione e tradizione: il Golden Bridge Ba Na Hills in Vietnam

Nel caso in cui il web fosse da intendere attivamente, è bene considerarne fin da ora gli effetti futuri per poter pianificare le prossime azioni di intervento:

  • il Web 1.0 non presume un’iterazione con l’utente, che può solo visualizzare i contenuti senza copartecipare ad essi. 

Le azioni sono le News Group, Advertaising sui Siti, il posizionamento su Motori di Ricerca (attività SEM).

Le competenze che riguardano l’azienda sono di stampo informatico e possono essere esternalizzate a società di consulenza specializzate.

  • Il Web 2.0 apre il  mondo delle interazioni e delle integrazioni con il Web. L’utente può commentare, modificare, condividere quello che incontra. Da utente passivo diventa attivo.

Le azioni riguardano principalmente la gestione della Web Reputation: l’interazione non è più one to one (uno contro uno), bensì one to community (uno contro una comunità virtuale di consumatori).

Le competenze che l’azienda deve possedere si spostano sulle capacità digitali e soprattutto relazionali e comunicative.

  • Il Web 3.0 corrisponde all’attuale evoluzione di internet e delle regole dell’interazione tra utenti. Esso è caratterizzato da una maggiore consapevolezza, e conseguente superiore controllo, dei fruitori riguardo i contenuti di comunicazione e dall’evoluzione grafica dal 2D al 3D. 

Le azioni che vi si riconducono riguardano principalmente la nozione di “web semantico”, per la quale la navigazione non avviene solo per chiavi di ricerca (ricerca terminologica con il SEM) ma per “significati” culturali e letterari. La Realtà è Aumentata, poiché si arricchisce di informazioni prelevate dal web. Si parla già ora di “Internet of things” (internet per pensare), giacchè navigano anche le applicazioni e non solo l’utente. 

In sintesi, il Web 3.0 può essere definito come “Web Potenziato”, caratterizzando la capacità del Web di influire sulla realtà.

Le competenze aziendali di comunicazione, relazione e tecnologia si fondono sull’asset della linguistica e sulla specializzazione di semantica e semiotica

Con un’utente è sempre più attivo, le attività di web marketing dovranno sempre di più andare verso l’interazione, la personalizzazione, creando messaggi mirati e interessanti per ogni segmento di mercato

Il vero interrogativo che una mente imprenditoriale deve ad oggi porti, parlando di web, è posta nell’analisi dei paradigmi di internet, della sua velocità e delle sue necessità, in coerenza ed ottemperanza delle reali necessità dell’impresa.

Il primo indispensabile quesito del marketing deve proporsi lindagine del mercato di riferimento e dei valori che l’azienda promuove

Infatti la prima risposta che internet fornisce è un cambio di paradigma: da un bisogno di valicare i confini culturali e geografici, l’uomo sta tornando, a meno di un secolo, ad una richiesta di personalità, di auto-immaginazione, nella impellente necessità di svincolare i valori globali per ritornare su princìpi culturali tradizionali.

Analisi in Open Space

Ogni buona azienda traduce nella comunicazione off ed on line i propri tratti distintivi, ricercando ciò che si definisce in comunicazione “l’immagine coordinata”. Queste trattazioni verranno ampiamente affrontate nella categoria Marketing. Ciò che riveste fondamentale importanza in questo articolo, è di come, quando e quanto l’approccio comunicativo venga spesso sfavorito dalla progettazione degli spazi aziendali, primo baluardo della conoscenza del cliente sia potenziale che reale nelle dinamiche che articolano la promìse (def. dal mkt: promessa aziendale) ed i meccanismi psicologici della fedeltà al rapporto tra le due parti.

Una prima divisione che dovrà attivare le fasi creative della progettazione nella distribuzione degli spazi deve essere determinata dal riconoscimento della tipologia di comunicazione a cui tende o vorrà tendere l’azienda:

  • in presenza di aziende contraddistinte dal prodotto o dal servizio offerto, l’analisi deve necessariamente partire dallo studio critico ed analitico del posizionamento del prodotto/servizio e della loro natura, dell’organigramma e delle relative azioni interne, del carattere strutturato dell’offerta, soprattutto in merito agli aspetti local, glocal o global del mercato di riferimento, del marchio e del valore aggiunto definito nelle fasi di marketing e comunicazione, sia antecedenti la rivisitazione degli spazi che in termini di strategia futura;
  • in presenza di brand, invece, l’analisi dovrà imprimere nel brief creativo tutte le caratteristiche della marca, esprimendo appieno le salienze caratteriali della stessa; progettare gli spazi di una marca è equivalente alla progettazione residenziale che si dovrebbe svolgere per un singolo individuo. Le caratteristiche empatiche, lo stile di vita, l’etica ed i valori interni all’azienda devono essere espressi in ogni fase prossemica della gestione del rapporto con i propri interlocutori.

L’analisi sistematica dei metodi della progettazione in termini di comunicazione coerente e coordinata per marchio e marca verrà approfondita man mano assieme ai concetto delle altre tre categorie di Prossemica. Per ora è sufficiente distinguere due macro tipologie di spazi aziendali, mettendo a confronto gli open space con le più tradizionali suddivisioni per uffici.

In pochi conoscono quali siano gel origini dei primi: la tipologia progettuale degli ampi spazi senza barriere si sperimenta nella Open Space Technology, con un’intuizione dell’antropologo americano, Harrison Owen, pioniere della OST e prestato alla consulenza aziendale. La OST è uno strumento di apprendimento informale che agevola la circolazione di informazioni, conoscenze, esperienze all’interno di organizzazioni e permette di affrontare processi di cambiamento quando è necessario un confronto su questioni complesse e dove non esiste una soluzione univoca. Diversamente dalla maggior parte delle dinamiche partecipative infatti, l’Open Space lascia liberi i partecipanti di operare come meglio credono, utilizzando le modalità di lavoro che ritengono più utili e produttive.

L’Open Space Technology può essere uno strumento efficace solo in particolari condizioni:

  • Un serio e reale problema su cui lavorare
  • Un’elevata complessità
  • Molteplici punti di vista
  • Conflittualità diffusa
  • Necessità di trovare una soluzione nell’immediato.

Il luogo ideale dove svolgere una conferenza Open Space Technology deve essere dotato di una stanza abbastanza grande da poter ospitare tutti i partecipanti seduti in circolo ed altre stanze più piccole, facilmente raggiungibili, per i gruppi che si formeranno nelle fasi di lavoro. Lo spazio non deve essere particolarmente strutturato, è importante invece che sia confortevole. Elementi fisici, come tavoli e scrivanie, non servono in quanto occupano spazio ed intralciano i movimenti delle persone. Nella stanza centrale su una parete vengono sistemati cartelloni prodotti dal gruppo, che devono essere ben visibili e facilmente accessibili. Una parte della stanza ospita la zona computer/fotocopiatrice, adibita alla redazione dell’instant report, mentre un’altra sarà la zona dedicata al coffe break. I partecipanti siedono in circolo, il cui centro è vuoto, così che tutti si possano guardare negli occhi e sentire alla pari degli altri. In questo modo, già dal principio si viene a creare una sensazione di uguaglianza e partecipazione.

Nella OST è di fondamentale importanza il ruolo del facilitatore, inteso come moderatore delle dialettiche del gruppo.

 

New York Times

Tutti gli ambienti che non corrispondono a queste tematiche, a tali valori interni ed alle delicate fasi citate, non possono certo definirsi Open Space, bensì solamente spazi architettonici aperti.

Una recentissima ricerca dello Studio Gensler decreta la fine degli aspecialistici posti di lavoro in “Open Space”, verso sistemi di lavoro ibridi, sostenibili e personalizzati a misura d’uomo. Inoltre un articolo del New York Times “The Rise of the New Groupthink” ha sfidato la tendenza attuale sul luogo di lavoro in “spazio aperto” indicando i danni alla concentrazione e focalizzazione sul posto di lavoro a causa di questa tipologia di soluzioni.

Sulla stessa linea, The Atlantic’s Collaborative Workspaces: Not All They’re Cracked Up To Be” parla di singoli stili di lavoro e della la necessità di spazi in grado di soddisfare le esigenze della “personalità” di ogni singolo lavoratore a vantaggio dell’efficienza e della competitività.

 

In Italia, spesso fanalino di coda dell’approccio aziendale alla comunicazione, architetture talvolta divergenti rispetto alle volontà strategiche delle aziende tentano di dare espressione al marchio, ma la maggior parte delle volte dimenticano il reale know how, fatto dalla comunicazione tra le competenze che in quello spazio lavorano.

 

L’intento di questo articolo, così come della nostra Academy, è di sensibilizzare progettisti ed imprenditori sulle tematiche dirette alla “performance” (e non più alla mera “produttività“) dei collaboratori.

L’architettura può essere un ottimo strumento per favorire la contaminazione delle competenze, la collaborazione e la reciprocità, se e solo se sia un’architettura saggia e meditata.

Si demanda ai seguenti link per approfondimenti:

http://www.repubblica.it/salute/2013/06/10/news/lavoro_voce_alta_e_aria_condizionata_per_6_su_10_l_open_space_fa_nascere_conflitti-60799520/

http://www.corriere.it/salute/12_giugno_21/uffici-open-space_0c057d9a-b3d1-11e1-a52e-4174479f1ca9.shtml

https://quifinanza.it/lavoro/lavoro-uffici-open-space-fanno-male-produttivita-umore-impiegati/288367/

La scelta dell’emozione

Il tema centrale più attuale che plasma i grandi obiettivi del marketing ed i risultati sottesi alla strategia aziendale è connaturato nell’esplorazione delle emozioni che l’azienda vuole, deve, comunicare. 

Il marketing emozionale, come già detto, gioca un ruolo sempre più rilevante nel panorama commerciale odierno: senza di esse l’uomo non sarebbe più in grado di decidere, quindi di agire.

Nelle scelte di consumo il sistema emotivo, automatico e inconscio, risulta molto più celere del  sistema razionale, controllato e conscio. 

I marketer più aggiornati si servono di inneschi emotivi nelle loro campagne: il cardine risiede nei valori che l’impresa decide di perseguire, nella mission e nella vision aziendale e nelle identità o modalità d’uso delle linee di prodotti e servizi erogate.

Le emozioni sono il punto di partenza per la creazione o la gestione di un marchio, che sappia generare maggiore empatia con i consumatori. Se l’emozione è positiva, si trasformerà in una sensazione piacevole, portando la persona ad avere forti associazioni con il marchio, che lo farà durare nel tempo e ci permetterà di raggiungere la tanto attesa fedeltà del cliente.

Solo successivamente all’identificazione del marchio, le emozioni devono essere analizzare e sintetizzate con coerenza nel marketing mix e nelle fasi di comunicazione dell’azienda: dalla pubblicità, nei punti vendita, nei processi dei centri di assistenza al cliente, dall’uso del prodotto e dalle risorse umane che si interfacciano a nome dell’impresa verso il proprio mercato di riferimento. 

Di fatto, esistono ancora molteplici definizioni del termine emozione che comportano un certo grado di accordo e di disaccordo tra gli autori; una delle teorie maggiormente utilizzate, sebbene non troppo recente, è estrapolata da R. Plutchik, creatore della “ruota delle emozioni”.

Il suo saggio rimane per ora la rassegna più dettagliata delle ricerche neurobiologiche sulle emozioni:  

L’emozione è un insieme complesso di interazioni tra fattori soggettivi e oggettivi, mediate da sistemi neurali/ormonali, che possono

  • dare origine a esperienze affettive come sensazioni di attivazione e di piacere/dispiacere; 
  • generare processi cognitivi come effetti percettivi emotivamente rilevanti, valutazioni, processi di etichettamento; 
  • attivare aggiustamenti fisiologici di vasta portata alle condizioni elicitanti; 
  • portare a un comportamento che è spesso, ma non sempre, espressivo, finalizzato e adattativo.

Nella sua ruota, Plutchik compone otto emozioni primarie, cioè quelle innate e presenti in ogni popolazione, ed otto emozioni secondarie, originate dalle primarie ma derivate dall’interazione sociale e dalla cultura di appartenenza. Ciascuna di esse è associata ad un colore, che rappresenta la sua intensità, identificando dapprima le emozioni primarie per poi spiegare le emozioni miste od i miscugli di emozioni che derivano da esse. 

In questo articolo verranno anzitutto approfondite le emozioni primarie, che in anni più recenti (2008), P. Ekman, psicologo americano, definì così:

  • rabbia, generata dalla frustrazione che si può manifestare talvolta anche attraverso l’aggressività;
  • paura, emozione dominata dall’istinto che ha come obiettivo la sopravvivenza del soggetto ad una situazione pericolosa;
  • tristezza, si origina a seguito di una perdita o da uno scopo non raggiunto. 

Questo primo insieme di emozioni primarie vengono spesso utilizzate nelle campagne che  promettono ai clienti che un prodotto/servizio specifico permetterà di evitare o superare la situazione che temono. 

I nordamericani parlano spesso di Fear of Missing Out (FOMO): è la paura di perdersi qualcosa, rimanere fuori dal giro. I marketer fanno leva su questa sensazione per indurre gli utenti all’acquisto. 

Per esempio menzionando un’offerta che scadrà presto o sottolineando i benefici esclusivi di cui godono gli iscritti a un certo programma fedeltà. 

Lo stesso meccanismo viene spesso ripreso in un’emozione secondaria, quale il senso di colpa, quando il prodotto o servizio offerto può alleviare il problema sul quale l’utente si è concentrato. Un esempio sono le campagne promozionali per il dimagrimento.

  • Gioia, stato d’animo positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri;
  • sorpresa, si origina da un evento inaspettato, seguito da paura o gioia. 

Questo secondo insieme genera stati d’animo positivi, dai quali perviene una miscellanea generante la fiducia, sentimento vitale e fondamentale per qualsiasi relazione a lungo termine. 

Un marcato esempio di facile interpretazione si rileva nei servizi che garantiscono modalità di pagamento e di spedizione sicure e tempestive, oppure nella ripresa di recensioni positive e di altre testimonianze sulla bontà del prodotto acquistato. 

Per generare fiducia, trasparenza e chiarezza sono elementi essenziali per tutte le comunicazioni e le attività promozionali. Tuttavia i valori sono soggettivi e sono alla base delle nostre priorità e delle nostre scelte. 

Un cliente motivato all’acquisto dovrà pensare che sta facendo un affare, ovvero vorrà percepire un valore. Le promo “paghi due prendi tre” o le pratiche di rimborso si propongono di garantire un valore reale al cliente. 

Sospeso tra questo secondo insieme di emozioni ed il prossimo, a seconda dell’uso di concetti significativi espressi nella comunicazione, c’è il senso di appartenenza, sul quale si radica il desiderio di essere parte di una comunità, contraddistinta da valori sociali condivisi. 

A questa tipologia di comportamento corrisponde frequentemente il ricorso al “social media marketing”, ovvero alla creazione ed alla gestione di contenuti e campagne incentrate sui social network che si propongono la condivisione di una visione collettiva tesa a rafforzare la relazione tra clienti e marchio. 

Le aziende coltivano il senso di appartenenza dei clienti facendoli sentire membri di una grande famiglia (gioia) oppure di una cerchia esclusiva (distacco dalle altre cerchie).

Iconografia Riva, esclusiva Sofia Loren
  • Disprezzo, sentimento e atteggiamento di totale mancanza di stima e disdegnato rifiuto verso persone o cose, considerate prive di dignità morale o intellettuale;
  • disgusto, risposta repulsiva caratterizzata da una comunicazione corporale specifica.

Un largo esempio è l’utilizzo della leva della competizione: essa è una sensazione negativa ma che ci motiva perché ci spinge ad agire per raggiungere o superare gli altri. I clienti ricevono la sensazione che ciò che è stato acquistato li renderà migliori dei loro pari.

Un esempio tipico è certamente espresso dai vari prodotti di lusso, ma tale feed back si può adattare a qualsiasi oggetto.

Similmente questo tipo di emozioni viene spesso ripreso anche nella ricerca della propria leadership dall’utente: essa contraddistingue quei consumatori che ricercano l’innovazione e che desiderano provare dei prodotti per primi per poi parlarne esprimere il proprio, immediato, giudizio.

E’ pertanto necessario evidenziare la novità del prodotto; occasionalmente l’azienda propone una sorta di lista d’attesa a cui iscriversi via mail per essere avvisati prima degli altri, o contraddistingue la linea di prodotto anticipatamente al lancio sul mercato quale “limited edition”. 

In una prima analisi, dunque, sarebbe sufficiente iniziare a chiarire a quali valori si ispira il marchio aziendale e definire, pertanto, quale tipo di relazione l’azienda si propone di instaurare e mantenere con il proprio targetgroup. 

Invero, questo tipo di riflessione dovrebbe identificare l’emozione primaria alla quale il “sistema impresa” (di cui il marketing fa parte integrante), si vorrà ispirare in tutte le scelte da compiersi. 

Per ulteriori approfondimenti:

Ekman, P. (2008). Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste. Editore Amrita, collana Scienza e Compassione. 

La ricerca di emozioni.

Il contenitore Carosello: felicità, benessere e… pubblicità.

Pubblicità e consumi sono fenomeni strettamente connessi:

il comportamento dei consumatori infatti è basato solo in minima parte su processi razionali.

Altri “meccanismi” vengono generato dai cosiddetti “neuroni specchio”: scoperti all’inizio degli anni ’90 dallo scienziato G. Rizzolatti, essi sono cellule presenti nel cervello che si attivano non solo quando si esegue un’azione, ma in modo analogo anche quando a compierla è un’altra persona. 

La “pubblicità” propone  racconti  e  rappresentazioni  delle  marche  e dei prodotti che le persone usano o useranno, allo scopo di orientarne le scelte individuali.

Tale approccio, dunque, integra fenomeni  psicofisiologici  e  neuropsicologici  (interni, non  direttamente  osservabili)  con  fenomeni  psicologici,  nella  narrazione  che  la persona fa dell’esperienza di fruizione ed elaborazione del messaggio (l’esterno, l’osservabile). 

Alcune ricerche del neuromarketing hanno dimostrato che lo spettatore era in grado di identificare alcuni marchi quando il prodotto pubblicizzato veniva integrato nella trama di un racconto,  assumendo un significato autonomo all’interno della narrazione.

Tali analisi hanno infatti confermato l’importanza di un logo nell’evocazione dell’immagine del brand (ad esempio Coca-Cola, Disney o Apple vengono richiamati alla mente e influenzano le nostre percezioni anche quando non li notiamo consapevolmente).

I racconti degli anni ’60: il pupazzo Provolino impersonato da Raffaele Pisu.

Il “neuromarketing”, dunque, indaga le percezioni inconsce dei consumatori nelle loro manifestazioni. Esso è un ambito della psicologia applicata che analizza l’impatto del marketing e della comunicazione sulla mente dei consumatori, misurando le reazioni del cervello dei consumatori a determinati stimoli visivi/uditivi, esplorando la connessione tra emozioneed attività elettromagnetica del cervello.

Le informazioni generate da questi test vengono spesso sfruttate a livello di marketing dalle aziende con l’obiettivo di generare “cose” che emozionino il più possibile il consumatore.

La capacità di un’azienda di costruirsi un’immagine distinta e una personalità forte consente di orientare verso di sé i desideri dei consumatori che si identificano o aspirano alla visione proposta.

Ad oggi le applicazioni del neuromarketing si estendono a sei ambiti particolari:

  • Branding: attraverso la misurazione del grado di relazione tra utenti ed il brand, ovvero l’analisi dell’idea che il consumatore ha di un’azienda;
  • Product design: nella misurazione della reazione dei consumatori a particolari prodotti e innovazioni.
  • Pubblicità: l’osservazione della reazione del pubblico ad una pubblicità, con lo scopo di avere  feedback certi su come rendere la pubblicità più accattivante.
  • Vendita nei negozi:il posizionamento dei prodotti all’interno di un negozio allo scopo di influenzare le scelte di consumo; l’analisi dello stesso ambiente, quali luci, i colori utilizzati e tutti gli altri aspetti che possono influenzare la propensione all’acquisto.
  • User Experience di un sito web nell’influenza delle emozioni di un visitatore.
  • Intrattenimento: film, serie TV, libri, musica.

Per ulteriori approfondimenti:

Lindstrom M., Neuromarketing. Attività cerebrale e comportamenti d’acquisto, Apogeo Editore

Gallucci F., Marketing emozionale e neuroscienze, Egea

Babiloni F., Meroni V., Soranzo R., Neuroeconomia, neuromarketing e processi decisionali, Springer Verlag

Morin C., Neuromarketing: the new science of consumer behaviour, www.academia.edu