La gestione del cambiamento

Molte delle recenti rivoluzioni culturali affermano l’innovazione e la sostenibilità quali driver del cambiamento.

E’ però doveroso sgombrare il campo delle definizioni da alcune deformazioni di significato. 

Prendiamo l’innovazione, ad esempio; molto spesso l’accezione più abusata riguarda l’uso delle tecnologia nei processi industriali. Tuttavia la definizione corretta del concetto di “innovazione” è stata recentemente precisata con una serie di indicazioni e linee guida anche da parte di UNI/ISO attraverso la 56002, che evidenzia la necessità di gestire l’innovazione, appunto, attraverso un sistema strutturato che riguarda leadership, pianificazione, risorse e strumenti. 

Una definizione, questa, di portata ben più ampia e collaterale rispetto alla mera tecnologia.

Il settore delle costruzioni può rappresentare bene un esempio: recentemente è stato introdotto anche nel nostro Paese, attraverso il Decreto Ministeriale 560/2017, l’uso del BIM (Building Information Modeling) negli appalti pubblici. La novità introdotta riguarda l’obbligo di digitalizzazione per i lavori, considerando tutto il ciclo di vita dell’immobile, fino alla fase futura di dismissione o di ristrutturazione dell’edificio.

Molte aziende si sono quindi prestate al cambiamento, acquistando un software specifico, scegliendo tra le varie proposte presenti sul mercato. 

La questione più profonda, riguarda però l’innovazione all’interno dell’impresa,  oggi definita nel “Sistema di gestione BIM” (SGBIM – UNI/PdR 74:2019), che stabilisce i requisiti che un’organizzazione deve adempire per migliorare l’efficienza del processo di programmazione, progettazione, produzione, esercizio ed eventuale dismissione dell’opera. Al suo interno, in particolare all’Appendice A, viene evidenziato come un software di modellazione sia reso obbligatorio, ovvero un requisito minimo, solamente per società di ingegneria, architettura e progettazione.

Per essi, e per Appaltanti, Costruttori e Gestori dell’opera, tale sistema evidenzia la stretta necessità di ottimizzare la sicurezza dei dati, di stabilire un’organizzazione interna attraverso un organigramma che precisi tra il resto anche il Referente SGBIM, rende obbligatoria l’analisi dei rischi, il monitoraggio dei KPI e favorisce il bilancio delle competenze delle figure professionali interne. Definisce inoltre le procedure obbligatorie, quale ad esempio la presenza di una codifica interna, il piano di comunicazione del progetto da condividere con fornitori e clienti etc., nonché l’ausilio della tecnologia, in ultima battuta, per monitorare le competenze dei fornitori di prodotti e servizi, per svolgere la mappatura degli stakeholder, ed anche per dotare l’impresa di un Piano di formazione, tra le altre cose., rendendo così il cambiamento reale molto articolato e complesso.

Responsabilità economica

Tutto quello che ho, l’ho ereditato. Ha fatto tutto mio nonno. Devo tutto al diritto di proprietà e al diritto di successione, io vi ho aggiunto il dovere della responsabilità.

Giovanni Agnelli


Il “dovere della responsabilità” ad oggi verte sullo sviluppo sostenibile, fondando tre principi cardine:

l’integrità dell’ecosistema, efficenza economica ed equità sociale. 

Per definizione, la responsabilità è la “possibilità di prevedere le conseguenze del proprio comportamento e correggere lo stesso sulla base di tale previsione”.

Si tratta di un concetto centrale dell’etica, fondato sul diritto, nella scienza sociale in genere e perfino nel linguaggio aziendale corrente, campi nei quali il termine assume significati specifici.


Nel secondo dopoguerra, l’obiettivo del marketing consisteva nel mostrare e vendere la merce, data la continua domanda e la scarsezza dell’offerta. Durante il boom economico che seguì, l’aumento dei competitors e lo sviluppo incontrollato di bisogni e prodotti creati a tavolino, sporcarono questa disciplina, giacchè, in tal contesto, essendo il marketing una disciplina e non una scienza, non può decidere se essere etico o no.

Già a partire dagli anni ’70 il bisogno di conciliare lo sviluppo economico delle imprese con uno sfruttamento delle risorse equo e moderato, portò alla fine alla recente sottoscrizione dei punti di Sviluppo sostenibile, garantendo un ruolo chiave alla responsabilità economica.


L’attuale pandemia da COVID-19 ha evidenziato, tra l’altro, l’intensificarsi della pressione da parte dei media circa le drammatiche tematiche climatiche e sociali globali, con una crescita generale del welfare a livello planetario.

Il futuro economico è incerto, tuttavia si po’ assistere già da ora alla nascita di nuove tendenze, incentrate sul cosiddetto consumo critico quale tendenza a rifiutare i beni tradizionali da parte dei consumatori, i quali diventano veri e propri promotori di prodotti solidali, equi e green.


La maturata psicologia di consumo attuale designa alla “sostenibilità” un ruolo di rilievo:

  • sostenibilità economica quale capacità delle organizzazioni di generare reddito in maniera continuativa e allo stesso tempo di fornire un posto di lavoro e maggiore welfare alla comunità in cui sono inserite;
  • sostenibilità ambientale, intesa come la capacità di permettere il rigenerarsi naturale delle risorse sfruttate, mantenendone un determinato standard qualitativo;
  • sostenibilità sociale, attraverso l’abilità di garantire condizioni di vivibilità e benessere umano come la salute, la giustizia, la sicurezza, la partecipazione, l’istruzione, senza fare distinzioni di genere o classe sociale.


Lo sviluppo sostenibile, per potersi concretizzare, abbisogna di strumenti e metodi affini ad alcuni modelli di Business, quale il modello di economia circolare, e di orientamenti normativi e/o metodologici specifici, come i CAM (criteri ambientali minimi) e molte delle certificazioni ISO etc.

I trends di mercato fanno ben sperare: le aziende che adotteranno lo sviluppo sostenibile quale approccio, potranno affermare a breve una leva per avvalorare ed accrescere il proprio valore aggiunto nel mercato di riferimento.

Adottare un orientamento alla sostenibilità significa riposizionare, interamente od in parte, l’azienda, sostenendo sostenendo una crescita equilibrata, sia delle imprese partner che di tutte le organizzazioni, le istituzioni e gli enti che con le loro attività interagiscono con l’ambiente circostante e con i vari stakeholders del caso.


In buona sintesi, questo cambiamento corrisponde al ridisegnare il modello di Business interno all’impresa per favorire un marco-modello economico contestuale.

Responsabilità sociale

Welfare aziendale: donne al lavoro nello stabilimento Olivetti nel 1962
Stabilimento Olivetti – 1962

L’estetica della macchina è stata particolarmente curata. Una macchina per scrivere non deve essere un gingillo da salotto, con ornati di gusto discutibile, ma avere un aspetto serio ed elegante nello stesso tempo

Camillo Olivetti, padre di Adriano

L’assunzione di una responsabilità sociale non è un elemento che si aggiunge, ma è una dimensione strutturale della vita dell’impresa, un istituto economico-sociale che, nel realizzare la tipica missione produttiva, inevitabilmente esercita ripercussioni su una molteplicità di soggetti, creando valore per ciascuno di essi.

L’assunzione di responsabilità sociale diventa interessante quando nel concreto si dimostra conveniente di essere in armonia con le esigenze dettate dagli obiettivi di competitività ed economicità dell’impresa. Soluzioni nuove di responsabilità sociale e performance d’impresa possono essere in grado di innescare un circolo virtuoso a beneficio dello sviluppo aziendale, oltre che degli interlocutori sociali.

La responsabilità sociale può essere vissuta come un limite morale, connesso alla tutela dei diritti per ottemperare gli obblighi di legge, oppure può essere vissuta come creatività socio-competitiva, quale fonte di innovazione strategica e innovativa.

Responsabilità sociale come … limite morale … tutela dei diritti

Responsabilità sociale come … fonte di innovazione … creatività socio-competitiva

Per un’impresa gestire la responsabilità nei confronti delle proprie risorse può essere caratterizza dalla ricerca di soluzioni innovative atte a soddisfare in misura sempre maggiore le attese di ognuno, considerando tali soluzioni un fattore di sviluppo della competitività d’impresa. L’esigenza della creatività, a proposito della responsabilità, nasce dalla consapevolezza che in ogni situazione è possibile rispettare “di più”, valorizzare “di più” e soddisfare “di più”. 

La creatività socio-competitiva è una fonte di innovazione che entra nelle attività aziendali, dando vita a forme di rapporto con i collaboratori in grado di innalzare la coesione all’interno dell’impresa, a nuovi prodotti connotati da valenze sociali o ecologiche, a forme di comunicazione tese a coinvolgere tutti gli attori nel disegno dello sviluppo d’impresa

A volte, quando lavoro fino a tardi vedo le luci degli operai che fanno il doppio turno, degli impiegati, degli ingegneri, e mi viene voglia di andare a porgere un saluto pieno di riconoscenza.

Adriano Oliveti

Le risorse umane rappresentano la categoria di maggiore interesse in relazione alla competitività e capacità innovativa dell’impresa. Diversi sono gli ambiti della responsabilità sociale d’impresa applicabili alle risorse umane: dai trattamenti salariali alle condizioni di lavoro, dalla gestione dei licenziamenti ai trattamenti pensionistici, ecc. Tutti temi che variano in ogni impresa e sulla base dei diversi settori. 

Ma da dove bisogna partire? Innanzitutto le imprese devono considerare il fatto che il lavoro sostenibile costituisce un elemento di “energia psicofisica” (Guerci, 2011), capace di aumentare il senso di equità e benessere del collaboratore, contribuendo a creare un ambiente di lavoro vivibile, in grado anche di stimolare capacità di apprendimento e di problem solving. 

Quali caratteristiche deve avere il lavoro sostenibile? I contenuti del lavoro sostenibile devono essere: autentici, i collaboratori devono poter esprimere i propri pensieri e valori; significativi, le prestazioni svolte dai collaboratori devono far percepire che sta facendo qualcosa che effettivamente apporta un valore aggiunto all’attività aziendale; basati sulle competenze, prevedendo un apprendimento continuo dovuto a situazioni nuove, al fine di dare al possibilità a tutti di poter contribuire al valore d’impresa.  

Quali condizioni aziendali favoriscono il lavoro sostenibile? La prima è senza dubbio quello di saper e riuscire a mettere ogni collaboratore nella condizione di vivere un’esperienza positiva

Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva, non giovi a un nobile scopo.

Adriano Olivetti

Se si agisce dando spazio di autonomia decisionale (lavorando per obiettivi) attraverso l’utilizzo di competenze specifiche di ogni collaboratore, in modo che ognuno di loro soddisfi le proprie esigenze professionali, allora tutti percepiranno il proprio lavoro positivamente. 

La seconda condizione fa riferimento alle relazioni lavorative e sui rapporti interpersonali che devono basarsi sulla fiducia, sull’accettazione e sulla reciprocità.

Io voglio che lei capisca il nero di un lunedì nella vita di un operaio. Altrimenti non si può fare il mestiere di manager, non si può dirigere se non si sa che cosa fanno gli altri.

Adriano Olivetti

Qual è la “formula magica” per l’azienda che voglia progettare un modello il lavoro sostenibile? Innanzitutto è necessario trasmettere un modus operandi del lavoro caratterizzato dalla collaborazione e dal lavoro in team; in secondo luogo è necessario sviluppare il lavoro sostenibile come un impegno continuo nel tempo, prevedendo interscambiabilità, contaminazione delle competenze e possibilità di armonizzare la propria vita lavorativa con quella personale/familiare; in terzo luogo costruire relazioni interpersonali positive, quale elemento cruciale della sostenibilità di tutto il sistema.

Responsabilità sociale come:

creatività socio-innovativa, energia psicofisica, lavoro sostenibile.

Responsabilità ambientale

La costruzione del “Pirellone” sullo sfondo di Milano – 1959

Uno sviluppo edilizio che deve essere sempre più sostenibile: questa la priorità per il passato prossimo.

Nel dopoguerra, la voglia di riscatto, la grande volontà degli italiani e la necessità di ricostruire infrastrutture e tessuto economico danno un impulso senza precedenti alle costruzioni edili.

Nascono in Italia numerose imprese edili e di costruzione con organizzazioni via via sempre più complesse in grado di combinare assieme qualità costruttiva, tecnologie e specializzazione.

Società private e cooperative edili, assumono così dimensioni importanti e capacità di intervento di assoluto rilievo e vengono impegnate da subito per il ripristino delle grandi infrastrutture viarie e degli edifici strategici.

All’interno di queste società si sviluppano professionalità sempre più elevate in grado di affrontare e vincere sfide tecnologiche dedicate alla progettazione e realizzazione di opere infrastrutturali moderne e edifici di maggior qualità abitativa. 

Purtroppo in Italia, a fronte di una spinta senza precedenti nella costruzione di edifici e infrastrutture, non sempre è corrisposta un’adeguata politica  urbanistica, che non è stata in grado di guidare la veloce crescita degli aggregati urbani e industriali, integrandoli con il territorio circostante. 

Col passare degli anni si è cercato di rimediare a questo errore intervenendo a livello di pubblica amministrazione con norme che regolano lo sviluppo urbano nel rispetto del contesto ambientale e sociale.

Oggi vi è la consapevolezza che è necessaria non solo una adeguata pianificazione urbana, ma anche uno sviluppo sostenibile del settore delle costruzioni, che va perseguito analizzando e governando le ricadute degli interventi e delle trasformazioni sui piani economico, sociale ed ambientale, sia al momento della realizzazione degli interventi che durante la vita utile degli interventi stessi e durante la loro dismissione. 

Sono convinto che questo approccio, sostenuto fortemente da un punto di vista economico dall’Unione Europea e dal nostro Paese, possa diventare un’opportunità di crescita e sviluppo per le nostre imprese, portatrici di un patrimonio di competenze e professionalità unico, che ancora una volta si trovano a dover fronteggiare una crisi economica, questa volta generata da un’emergenza sanitaria senza precedenti.

Ringraziamo l’Ing. P. Bellotti del bel articolo che ci è pervenuto e che abbiamo deciso di pubblicare.