Pubblicità radiofonica: in auge

Fare pubblicità attraverso la radio, rende: la campagna “La radio rende”, realizzata da Trip Multimedia Group e promossa da FCP-Assoradio, evidenzia alcune salienze del mezzo radiofonico in riferimento alla pubblicità. Le argomentazioni che ripropongono la radio quale mezzo pubblicitario, dopo un periodo di crisi e dato l’avvento del social media marketing, evidenziano alcuni fattori chiave di questo canale:

  • la radio è social poiché è molto influente anche sul web, 
  • è coinvolgente, dato che crea emozioni e coinvolgimento,
  • è persuasiva, citando gli speaker radiofonici quali influencer,
  • è evocativa se si parte dal presupposto  che una voce possa essere più convincente di un’immagine.

Fino a questo punto, tuttavia, essa rimane paragonabile ad altri mass media.

 

Tuttavia  la radio ha alcune caratteristiche che la TV, ad esempio, non ha: mentre negli anni ’50 e ’60 veniva ascoltata principalmente in casa, date anche le sue dimensioni fisiche, già dagli anni ’80 inizia a diventare un luogo mediatico di aggregazione: sono molti i ricordi legati alla “radio in spalla” come effetto globale della sua portabilità. Ad oggi questo strumento di comunicazione è sempre presente, perché fruibile attraverso più dispositivi ed in molteplici contesti. Basta pensare che in moltissimi ambienti aperti al pubblico c’è sempre un sottofondo radiofonico, come nei supermercati, nelle sale di attesa, talvolta anche all’interno degli uffici. L’uso comune, inoltre, prevede che la si accenda appena saliti in macchina e la si ascolti nei tempi di percorrenza di un tragitto, soprattutto se lungo.

 

Negli ultimi anni, anche la radio si è resa più attenta alla propria adattabilità al target, grazie alla  localizzazione geografica, ai format proposti, sempre più orientarti a precise categorie di ascoltatori ed agli orari di emissione di un programma: i contenuti arrivano all’ascoltatore in vari momenti chiave della giornata (talvolta intercettano proprio il momento in cui egli si sta recando a fare shopping).

Lo spot radiofonico lascia infine molta immaginazione all’ascoltatore e per il committente di una campagna permette maggiori margini alla creatività, a costi non troppo elevati. Una campagna radiofonica poi, si attiva in tempi brevi ed è pertanto più veloce rispetto a campagne ipotizzate per altri canali di comunicazione.

La difficoltà principale risiede nell’individuazione della giusta strategia di comunicazione e nella scelta delle emittenti e dei prodotti radiofonici più adatti. 

In particolare, la radio è indicata per la promozione di eventi, di offerte speciali e di tutte quelle iniziative che necessitano di una comunicazione rapida e intensa.

 

 

Di certo, la tecnologia svolge un ruolo fondamentale per quanto riguarda la portabilità dell’apparecchio: i nuovi dispositivi audio, che ora permettono di riprodurre i contenuti direttamente dal proprio Smartphone, unitamente alle sempre più ridotte dimensioni dei supporti, permettono di ricavare del tempo personale da dedicare all’ascolto del palinsesto radiofonico, pubblicità inclusa, anche durante le attività sportive, ad esempio.

Soprattutto in quei momenti e rispetto alla TV, lo zapping per radio è meno diffuso, motivo per il quale uno spot radiofonico potrebbe permeare maggiormente rispetto ai contesti visivi.

 

Per quanto compete la durata di un radiocomunicato, essa dipende dalla strategia di comunicazione e dal budget a disposizione: in Italia lo standard corrisponde ad uno spot da 20 o 30 secondi, tuttavia vengono creati anche comunicati da 60 e da 15 secondi.

Infatti in alcune circostanze può essere conveniente puntare su un certo numero di spot di durata maggiore (30 o 60 secondi) e utilizzare spot da 15 secondi come rinforzo alla comunicazione. L’utilizzo di comunicati di minore durata, infatti, può aiutare ad ottimizzare il budget, perché:

  • uno spazio da 30 secondi costa mediamente la metà di uno da 60
  • uno spazio da 20 secondi costa mediamente il 20% in meno di uno da 30 (il 10% in meno sui network nazionali)
  • uno spazio da 15 secondi costa mediamente il 30% in meno di uno da 30 (il 20% in meno sui network nazionali)

Comunemente un singolo passaggio da 30 secondi su una radio può costare da pochi euro a diverse centinaia di euro. Il prezzo è principalmente legato alla copertura geografica della radio ed alla sua audience in termini di ascolto medio giornaliero.

 

In merito al costo della produzione di un radiocomunicato professionale, invece, i prezzi si aggirano tra un centinaio di Euro fino a qualche migliaio di euro in base al tipo di creatività, alle voci e alle musiche utilizzate, alla diffusione del messaggio (locale, regionale o nazionale, network o emittenti locali, etc.) e ad altri parametri.

Un bell’esempio di pubblicità radiofonica dell’ultimo periodo è di Mapei Spa:

Sull’efficacia delle campagne, molto dipende dagli obiettivi previsti:

  • se lo scopo è far conoscere un prodotto e/o servizio, il fattore “tempo” è determinante ed è possibile presumere la necessità di una frequenza giornaliera bassa (es. 4-5 comunicati) per periodi lunghi (ragioniamo in termini di mesi o anni);
  • pianificazioni di lungo periodo a budget limitato sono consentite attraverso il ricorso al “flighting”, ovvero a campagne pubblicitarie di 3-4 settimane ripetute più volte nell’arco dell’anno, che solitamente prevedono una frequenza giornaliera di 6-8 passaggi;
  • per la promozione di eventi od offerta speciali, invece, solitamente viene consigliata un’alta frequenza giornaliera (es. 10-12 comunicati) per un breve periodo di tempo (2-3 settimane).

 

Il ruolo fondamentale delle agenzie è riconducibile alla consulenza ogni qual volta si necessiti di:

  • conoscere correttamente il panorama radiofonico, che è molto vasto e articolato, e scegliere le emittenti giuste;
  • un supporto nella definizione di una strategia di comunicazione;
  • un aiuto nella realizzazione di un radiocomunicato;
  • condurre le trattative con i mezzi per ottenere le migliori condizioni, ottimizzando il budget.

Il consiglio, con o senza l’ausilio di un’agenzia specializzata, rimane comunque di contattare i reparti vendite delle radio o delle concessionarie e richiedere tutte le informazioni necessarie ad assicurarsi che l’emittente sia in linea con gli obiettivi previsti e con il target di riferimento.

 

Per ulteriori approfondimenti:

www.laradiorende.it

Psicologia ambientale

Poco nota in Italia è la branca della psicologia “ambientale” (Environmental Psychology), campo “di frontiera” tra la psicologia e gli altri vari ambiti, sia disciplinari che tecnici, riguardanti problemi attinenti al cambiamento dell’ambiente fisico urbano e che coinvolge le discipline dell’architettura e delle scienze naturali, apportando nel dibattito due delle principali tradizioni teoriche della psicologia della percezione-cognizione e della psicologia sociale.

Alla psicologia ambientale è dedicata la categoria “progettazione”: ogni frangente dell’analisi e della strutturazione di un piano di visual merchandising dovrebbe anzittutto prendere atto dalle fasi primordiali della strategia di marketing del committente. Saper individuare il target, le azioni e le tecniche di vendita, la tipologia dei prodotti offerti, il piano di comunicazione creato dall’azienda ed interpretare correttamente tali variabili in un tempo ed in uno spazio non è facile. Il magazine Prossemica nasce anche da queste esigenze, spesso delineate nei servizi di consulenza offerti ad architetti ed interior designer, al fine di tradurre e mediare il linguaggio economico-commerciale dell’azienda e quello tecnico-progettuale del professionista.

Spazi sociofughi - foto di Clark Street Mercantile
L’interesse alla psicologia architettonica nacque tra gli anni ’60 e ’70, con una serie di sperimentazioni atte all’osservazione pragmatica dell’esistenza di aspetti spazialisociofughi”, volti a scoraggiare l’interazione sociale, o, al contrario, “sociopeti”. R. Sommer elaborerà per primo i concetti di “territorialità umana” e di “spazio personale”(1969 – “Spazio personale: la base comportamentale del disegno progettuale“), contestualmente alla diffusione dell’insoddisfazione crescente verso la progettazione “egocentrica”, vista cioè come volta principalmente a soddisfare i bisogni estetici e di auto-affermazione dell’architetto/progettista e scarsamente centrata sulle esigenze dei destinatari/utenti degli edifici stessi. Molte normative che regolano le costruzioni, pur non basandosi sulla scienza psicologica, sono comunque guidate da assunzioni circa l’impatto psicologico delle forme e dell’ergonomia stesse.

Secondo queste posizioni, Canter (1972 – Psychology for Architects) individua alcuni aspetti critici:
– la necessità di distinguere le esigenze di “adeguatezza funzionale” degli edifici, rispetto a quelle relative la forma;
– la complessità del processo progettuale, in cui nessuno progetta per sé, accentuando invece l’utilità della ricerca psicologica come prezioso contributo in tale direzione.

Spazi sociopeti - foto di Kukuh Himawan Samudro

Secondo Canter e Lee (1974) le principali informazioni che la psicologia può fornire alla progettazione dell’ambiente sono suddivisibili in tre categorie:
le attività della gente: che tipo di attività vengono svolte dalle persone, dove e come sono svolte, come cambiano;
le valutazioni differenziate: quali sono cioè le gerarchie di priorità esistenti tra queste, dal punto di vista sia pratico che valoristico;
il rapporto comportamento/ambiente: conoscere e scoprire i rapporti “interattivi” tra persone ed ambiente.

(Testo di approfondimento: Bonnes e Secchiaroli, Psicologia ambientale – Introduzione alla psicologia sociale e dell’ambiente – Ed. NIS)

Psicologia del consumo

La psicologia “del consumo”, con l’ausilio delle neuroscienze, si occupano di analizzare i meccanismi psicologici attraverso i quali l’uomo sceglie tra una gamma di proposte sempre più illimitata, tra prodotti in competizione tra loro, nella realtà reale ed in quella virtuale.

Trattando il rapporto tra il comportamento d’acquisto e le motivazioni sottostanti, l’analisi riporta alla dialettica tra conscio ed inconscio, quindi tra aspetti controllati ed aspetti automatici e tra libero arbitrio e necessità di acquisto.
Lo studio del comportamento d’acquisto mette in gioco la rilevanza strategica della psicologia e, più in generale, della scienza della decisione.

 

Le decisioni rischiose sono determinate scegliendo tra alternative con esiti probabili o a lungo termine. Ne è un esempio l’acquisto dell’immobile. La misura del rischio è indicata dalla probabilità necessaria, ovvero da quell’indice di incertezza che si può calcolare in maniera corretta (nell’esempio dell’immobile, il tempo e l’importo di un mutuo agevola la definizione suddetta). In questi casi il rischio viene espresso dalla misura dell’incertezza, denominata “probabilità frequentistica”. Questa nozione di probabilità si basa sull’assunto che i processi che si sono manifestati in passato continueranno a manifestarsi nel futuro (ad esempio la fluttuazione dei tassi bancari ed i periodi storici del mercato immobiliare). Più il decisore nelle precedenti esperienze ha classificato in diverse categorie le situazioni da affrontare, maggiori saranno gli automatismi osservati nella decisione, i quali garantiscono un risparmio di risorse cognitive e di tempo nel prendere una decisione.

Emozioni in tempesta - foto di Jean Pierre Brungs

Sono note inoltre alcune strategie nel consumo razionale, quale ad esempio la “regola congiuntiva”, per la quale ad ogni attributo del prodotto o servizio desiderato viene attribuito un valore e fissato un limite di soglia per il rifiuto dell’offerta, o la strategia dell”eliminazione per aspetti”, per cui vengono eliminate tutte quelle alternative che non contengono quell’aspetto. Altre tattiche cognitive sono l’euristica, la procedura per esclusione e la focalizzazione, il principio di massimizzazione dell’utilità attesa e la regola della somma.

Anche le emozioni tuttavia hanno un ruolo paritario di primo piano nei processi d’acquisto:

possono favorire una semplificazione del dilemma, scartando le alternative che provocano qualche stato di malessere o che non rappresentano il massimo della felicità desiderata.

In secondo luogo le emozioni accompagnano ed influenzano ogni momento del processo decisionale; anche post acquisto, nella considerazione che la scelta effettuata procuri o meno piacere.

(Testo di approfondimento: R. Rumiati, Decidere – Ed. Il Mulino)

Psicologia della percezione

Il solo fatto di creare una forma fisica tenendo conto dell’effetto visivo che provocherà la sua percezione comporta, secondo Canter (1972 – Psychology for Architects), implicite assunzioni a livello scientifico e tecnico circa il rapporto tra le caratteristiche dello “stimolo fisico” e corrispondente “risposta psicologica”.

Il contributo della psicologia al processo della progettazione architettonica e del design viene visto in relazione a diversi momenti:
– ”ideazione”: utilizzo di alcune indicazioni generali provenienti dalla ricerca psicologica in materia di relazione tra caratteristiche architettoniche e comportamentali;
– “specificazione”: nell’individuazione delle influenze specifiche tra alcune caratteristiche fisiche dell’ambiente e gli aspetti psicologici altrettanto specifici (ad esempio tra ergonomia e rendimento lavorativo);
– “valutazione”: analisi dell’esistente anche sotto il profilo degli effetti psicologici conseguenti, per individuare eventuali inadeguatezze o possibili direzioni di miglioramento sia per il progetto che per quelli futuri.

Nella storia successiva della psicologia architettonica britannica, dagli anni ’80 vennero coniati sul mercato americano i relativi e più dinamici concetti di “relazione uomo/ambiente”, di “relazione persona/ambiente” e di “comportamento/ambiente”. Fino ad arrivare all’interpretazione odierna della nuova branca della “psicologia del design”, più spesso intenzionata nelle sue prime fasi ad esprimere le conseguenze negative dell’introduzione e dell’uso dei prodotti di design.

Dalle inflazionate teorie della scuola della Gestalt (parola tedesca tradotta genericamente con il termine “forma”), che nei suoi assunti stabilisce che l’uomo non percepisce un oggetto come la somma delle singole parti di cui è composto ma lo vede nella sua globalità, il contesto più contemporaneo interpreta gli oggetti secondo l’analisi semantica: i concetti di significante e di significato.

Il primo attribuisce le azioni possibili, il secondo le contestualizza nelle azioni quotidiane.

 

L’errore di credere che il design sia arte, porta la creazione dell’oggetto al “genio”, essendo l’opera d’arte l’espressione di un sentimento soggettivo che il genio, dotato di facoltà superiori, è capace di creare dal nulla, perpetuando con l’opera il suo pensiero.

Nel design industriale questo contributo illogico porta all’azzardo: l’azienda acquisterà l’idea, nell’incertezza che quel pezzo d’arte contribuisca a rafforzare o a deprimere il valore commerciale della gamma dei prodotti preesistenti. Dall’altra parte, il designer potrà proporre le proprie opere nella produzione di prodotti “in linea” con le proprie doti ed emotività artistiche e non con le caratteristiche della committenza. Domanda ed offerta si dovranno sempre più confrontare e trovare al di fuori del mercato dell’arte, nelle logiche delle discipline umanistiche e del branding.