Filosofia del design

Per approfondire la ricerca epistemologica del design e le relazioni tra oggetto e contesto (ed il contrario) secondo un approccio filosofico, è necessario partire dallo spunto di Aristotele e gli ellenisti alessandrini, che distinsero:
Filosofia pura: logica (valore di verità), “questioni ultime” e matematiche;
Filosofia naturale: scienze naturali, fisica, chimica, geologia, biologia;
Filosofia morale: etica, come comportamento, politica, economia, diritto;
Filosofia del bello: estetica, nell’arte, musica, poesia, letteratura, teatro, cinema!

Progettare oggetti significa non soltanto realizzare “cose”, ma creare le relazioni e le funzioni che vanno al di là delle necessità pratiche: essi rappresentano non solo l’identità di chi li compra e di chi li usa, ma raccolgono le caratteristiche di un particolare territorio, del periodo storico che li impermea, del pensiero di chi li pensa, instaurando un dialogo per illustrazioni similmente ad ad una serie di racconti che a loro volta producono altri significati, altri valori. Come scrivevano gli storici della scuola francese delle “Annales”, è il concetto di “lunga durata” che consente di comprendere il significato degli avvenimenti, evitando di essere abbagliati dalla luce ingannevole della “cronaca”.

Riprendendo l’arte come una dimensione della coscienza umana che più delle altre dimensioni si definisce mediante un insieme di segni, è indubbio che la sua comprensione più diretta derivi dal suo intreccio con le altre dimensioni suddette (ad esempio nella musica si intreccia la danza).

Usare i codici espressivi della visione (della percezione visiva), riassumere, analizzare nelle linee essenziali, le tipologie ed i canoni delle espressioni artistiche che hanno caratterizzato i periodi principali della storia universale comporta anzitutto il riconoscere che quanto sappiamo della realtà giunge a noi tramite i nostri sensi, e quindi anche il nostro ragionare, sperimentare, verificare e dimostrare resta comunque in tutto e per tutto subordinato a questa severa condizione. Un po’ come un quadro di Escher, che osservato nelle sue singole parti risulta razionale e coerente, eppure man mano che il contesto si allarga, emergono le incongruenze, fino all’evidente paradosso.

Waterfall–1961-M. C. Escher

“Le sensazioni senza concetti sono cieche, i concetti senza sensazioni sono vuoti”

In termini filosofici l’aforisma sintetizza sagacemente il sistema ipotizzato da I. Kant (1724 – 1804) e ne rappresenta l’introduzione perfetta alla sfida epistemologica (def. dal gr. “episteme”: lo studio critico della natura e dei limiti della conoscenza scientifica, con particolare riferimento alle strutture logiche e alla metodologia delle scienze) del linguaggio degli oggetti, in particolare quelli di uso quotidiano. Essi rappresentano uno spazio materico di connessione tra le diverse scienze sociali e mettono in gioco numerosi interrogativi sul senso, la significazione e la comunicazione.

(Testi di approfondimento: Bernini e Casoli, Linee luci volumi. Percorsi nella storia dell’arte – Ed. Laterza)

Confraternite italiane

Il valore delle #relazioni

La comunicazione si trasforma in cultura, la cultura si diffonde: cambia il modo di pensare, cambia il modo di parlare, il mondo diventa una rete.

La relazione è innovazione e l’innovazione amplifica le relazioni, le quali producono conoscenza, oggi condivisa ed in tempo reale.

La pratica di creare una rete di relazioni è molto diffusa tra le imprese e i professionisti da molto tempo prima della nascita di internet. Una pratica che si perde nella notte dei tempi, quando il commercio era circoscritto a comunità locali e si basava sulle relazioni personali all’interno della comunità. Ma con l’industrializzazione, la globalizzazione e l’apertura dei mercati a livello internazionale si è venuti a creare un contesto di lavoro nuovo e diverso in cui la competizione la fa da padrona. Contesto che abbiamo dovuto imparare a conoscere, attraverso un continuo apprendimento, che non ha mai fine.

In questo contesto imprese e professionisti si trovano a operare in situazioni in cui la relazione e la conversazione sono in grado di determinare il successo o il fallimento di un’attività, proprio perché la conoscenza, vera o falsa che sia, si diffonde molto rapidamente attraverso il mondo virtuale.

Attraverso la rete virtuale le conversazioni circolano inevitabilmente con un flusso di informazioni che prescinde dalla volontà dell’impresa. La conversazione non è più controllabile tramite le classiche azioni di pubbliche relazioni. Ora non sono più sufficienti a creare il consenso attorno ad un marchio, un prodotto, un servizio.

L’impresa non è più al centro di un sistema, ma è parte di una rete.

Costruire relazioni per il proprio business, come agire?

Le relazioni di business riguardano le persone, riguardano l’attività di un gruppo che si riconosce e agisce attorno ad obiettivi comuni.

In questo contesto mutevole e fragile ci muoviamo insieme … dai valori di Prossemica è nata la volontà di creare una Confraternita in stile Made in Italy.

Lo scopo è quello di creare conoscenza ed opportunità attraverso la condivisione di competenze, esperienze e relazioni reciprocamente proficue per esaltare le proprie peculiarità e condividere nuove iniziative, nuove collaborazioni, nuove interazioni, nuove conoscenze, nuovi supporti, nuove idee. 

Costruire relazioni di business non è solo per le grandi imprese, ma è per tutti.  Come in ogni relazione, ascoltare e partecipare sono gli elementi essenziali. La partecipazione diventa ancora una volta uno scambio di stimoli, risposte e proposte tra le parti, sia degli individui come singoli che come rappresentanti di un’azienda. 

Al centro ci sono sempre le relazioni.

Le relazioni generano capitale sociale, che è determinato dalla condivisione e dal dialogo, dall’ascolto e dalla partecipazione di ciascuno dei membri. Il rapporto si basa sulla reciprocità ed equità tra le parti. 

Un nuovo contatto si trasforma in relazione quando si sviluppa fiducia e credibilità. Questo è ciò che accade nella Confraternita.

Nella Confraternita le relazioni creano valore nell’ecosistema dell’innovazione, ma attraverso lo stile che conosciamo meglio, il Made in Italy.

Per il resto del mondo l’Italia è un vero e proprio enigma, perchè è l’unico sistema Paese nel quale si riesce a generare valore nonostante le situazioni di caos”  – Philip Kotler

L’Italia è un grande team, creativo, personale, con la propensione alla “personalizzazione”, flessibile, comunicativo, mobile, ma legato alle tradizioni e al territorio; innovativo e risolutivo, “geniale” in tal senso: vi si trovano sempre soluzioni (anche bizzarre) per affrontare ogni tipo di situazione.

Lo stile italiano è quello di tessere relazioni che creano conoscenze e attraverso la collaborazione nascono i maestri dell’innovazione. Lo sviluppo dell’innovazione parte con l’identificazione di un’opportunità e oggi le opportunità  si muovono attraverso la Confraternita, un’infrastruttura sociale esclusiva tutta italiana.

“La persona vive sempre in relazione. Viene da altri, appartiene ad altri, la sua vita si fa più grande nell’incontro con altri. E anche la propria conoscenza, la stessa coscienza di sé, è di tipo relazionale, ed è legata ad altri che ci hanno preceduto.” – Lumine Fidei, 2013 – Papa Francesco.

Marketing ed etica

Il video spot anni ’80 di Vecchia Romagna Etichetta Nera, il brandy che “crea un’altmosfera”!

Per introdurre la differenza, anche per i non addetti al marketing, di “marchio” e “marca”, abbiamo scelto un paragone di facile interpretazione con un altro settore, comunemente conosciuto in Italia.

Storicamente si sono legati i due concetti a quello di “prodotto”: da questo enunciato deriva l’attuale confusione dei due termini:

  • fino all’avvento delle neuroscienze e della psicologia, nel marketing era prassi considerare il marchio come il “segnale distintivo, con rilevanza e tutela giuridica, che contraddistingue il prodotto, una linea o un’intera gamma;
  • per marca, invece, si intendeva “i prodotti leader sul mercato;
  • ad essi si contrappongono le marche commerciali (prodotti a marchio) che appartengono ad associazioni commerciali e distributive e sono spesso qualitativamente prossimi ai prodotti leader, ma hanno prezzi inferiori”;
  • infine il Superbrand (o megabrand), che si può riassumere per ora nella manifestazione dei casi in cui il nome della marca cannibalizza la tipologia di prodotto, definendone generalmente anche i prodotti delle altre marche (ne sono esempi celeberrimi Coca Cola, Nutella, Martini, Sanbitter etc.).

(Def. da Il Dizionario dei termini di marketing & pubblicità – Ed. ItaliaOggi)

Ad oggi questa distinzione ha mutato il suo volto: la marca (Brand) deriva da un processo ben definito e strutturato, che passa per molte fasi salienti (brand strategy, awareness, development, Image, etc.), tra le quali la brand personality definisce “la somma degli elementi caratterizzanti una marca agli occhi del consumatore”, che costituiranno i tratti distintivi tramite i quali i neuroni specchio saranno in grado di riconoscere una marca in modo differenziato rispetto alle altre. La marca comunica come una persona: si basa quindi sugli asset del linguaggio prevalentemente simbolico, rifacendosi al contesto culturale proprio e dei propri target. Genera emozioni, positive o negative che siano, ricalcando fedelmente sé stessa in ognuno dei frangenti previsti strategicamente nel proprio piano di brand management.

Ai nostri giorni si è affermata la necessità di distinguere affermazioni su prodotti sostenibili da mere strategie di marketing, a tutela del consumatore, e non solo, si sono affermate alcune specifiche tecniche sul marketing etico ed il cosiddetto “Ethical Claim”:

la ISO / TS 17033 , “Dichiarazioni etiche e informazioni di supporto – Principi e requisiti”, stabilisce le modalità concordate a livello internazionale per presentare una rivendicazione etica credibile e fornisce alle organizzazioni un mezzo per corredare informazioni credibili, accurate e verificabili.

Essa trae informazioni dalla serie ISO 14020 sull’etichettatura e le dichiarazioni ambientali, nonché dalle linee guida ITC (International Trade Center) per la fornitura di informazioni sulla sostenibilità dei prodotti come parte del loro programma di informazione dei consumatori 10YPF. Completa anche le linee guida esistenti come le dichiarazioni ISEAL sulla  sostenibilità.

Per ulteriori informazioni:

https://www.iso.org/news/ref2423.html

Analisi in Open Space

Ogni buona azienda traduce nella comunicazione off ed on line i propri tratti distintivi, ricercando ciò che si definisce in comunicazione “l’immagine coordinata”. Queste trattazioni verranno ampiamente affrontate nella categoria Marketing. Ciò che riveste fondamentale importanza in questo articolo, è di come, quando e quanto l’approccio comunicativo venga spesso sfavorito dalla progettazione degli spazi aziendali, primo baluardo della conoscenza del cliente sia potenziale che reale nelle dinamiche che articolano la promìse (def. dal mkt: promessa aziendale) ed i meccanismi psicologici della fedeltà al rapporto tra le due parti.

Una prima divisione che dovrà attivare le fasi creative della progettazione nella distribuzione degli spazi deve essere determinata dal riconoscimento della tipologia di comunicazione a cui tende o vorrà tendere l’azienda:

  • in presenza di aziende contraddistinte dal prodotto o dal servizio offerto, l’analisi deve necessariamente partire dallo studio critico ed analitico del posizionamento del prodotto/servizio e della loro natura, dell’organigramma e delle relative azioni interne, del carattere strutturato dell’offerta, soprattutto in merito agli aspetti local, glocal o global del mercato di riferimento, del marchio e del valore aggiunto definito nelle fasi di marketing e comunicazione, sia antecedenti la rivisitazione degli spazi che in termini di strategia futura;
  • in presenza di brand, invece, l’analisi dovrà imprimere nel brief creativo tutte le caratteristiche della marca, esprimendo appieno le salienze caratteriali della stessa; progettare gli spazi di una marca è equivalente alla progettazione residenziale che si dovrebbe svolgere per un singolo individuo. Le caratteristiche empatiche, lo stile di vita, l’etica ed i valori interni all’azienda devono essere espressi in ogni fase prossemica della gestione del rapporto con i propri interlocutori.

L’analisi sistematica dei metodi della progettazione in termini di comunicazione coerente e coordinata per marchio e marca verrà approfondita man mano assieme ai concetto delle altre tre categorie di Prossemica. Per ora è sufficiente distinguere due macro tipologie di spazi aziendali, mettendo a confronto gli open space con le più tradizionali suddivisioni per uffici.

In pochi conoscono quali siano gel origini dei primi: la tipologia progettuale degli ampi spazi senza barriere si sperimenta nella Open Space Technology, con un’intuizione dell’antropologo americano, Harrison Owen, pioniere della OST e prestato alla consulenza aziendale. La OST è uno strumento di apprendimento informale che agevola la circolazione di informazioni, conoscenze, esperienze all’interno di organizzazioni e permette di affrontare processi di cambiamento quando è necessario un confronto su questioni complesse e dove non esiste una soluzione univoca. Diversamente dalla maggior parte delle dinamiche partecipative infatti, l’Open Space lascia liberi i partecipanti di operare come meglio credono, utilizzando le modalità di lavoro che ritengono più utili e produttive.

L’Open Space Technology può essere uno strumento efficace solo in particolari condizioni:

  • Un serio e reale problema su cui lavorare
  • Un’elevata complessità
  • Molteplici punti di vista
  • Conflittualità diffusa
  • Necessità di trovare una soluzione nell’immediato.

Il luogo ideale dove svolgere una conferenza Open Space Technology deve essere dotato di una stanza abbastanza grande da poter ospitare tutti i partecipanti seduti in circolo ed altre stanze più piccole, facilmente raggiungibili, per i gruppi che si formeranno nelle fasi di lavoro. Lo spazio non deve essere particolarmente strutturato, è importante invece che sia confortevole. Elementi fisici, come tavoli e scrivanie, non servono in quanto occupano spazio ed intralciano i movimenti delle persone. Nella stanza centrale su una parete vengono sistemati cartelloni prodotti dal gruppo, che devono essere ben visibili e facilmente accessibili. Una parte della stanza ospita la zona computer/fotocopiatrice, adibita alla redazione dell’instant report, mentre un’altra sarà la zona dedicata al coffe break. I partecipanti siedono in circolo, il cui centro è vuoto, così che tutti si possano guardare negli occhi e sentire alla pari degli altri. In questo modo, già dal principio si viene a creare una sensazione di uguaglianza e partecipazione.

Nella OST è di fondamentale importanza il ruolo del facilitatore, inteso come moderatore delle dialettiche del gruppo.

 

New York Times

Tutti gli ambienti che non corrispondono a queste tematiche, a tali valori interni ed alle delicate fasi citate, non possono certo definirsi Open Space, bensì solamente spazi architettonici aperti.

Una recentissima ricerca dello Studio Gensler decreta la fine degli aspecialistici posti di lavoro in “Open Space”, verso sistemi di lavoro ibridi, sostenibili e personalizzati a misura d’uomo. Inoltre un articolo del New York Times “The Rise of the New Groupthink” ha sfidato la tendenza attuale sul luogo di lavoro in “spazio aperto” indicando i danni alla concentrazione e focalizzazione sul posto di lavoro a causa di questa tipologia di soluzioni.

Sulla stessa linea, The Atlantic’s Collaborative Workspaces: Not All They’re Cracked Up To Be” parla di singoli stili di lavoro e della la necessità di spazi in grado di soddisfare le esigenze della “personalità” di ogni singolo lavoratore a vantaggio dell’efficienza e della competitività.

 

In Italia, spesso fanalino di coda dell’approccio aziendale alla comunicazione, architetture talvolta divergenti rispetto alle volontà strategiche delle aziende tentano di dare espressione al marchio, ma la maggior parte delle volte dimenticano il reale know how, fatto dalla comunicazione tra le competenze che in quello spazio lavorano.

 

L’intento di questo articolo, così come della nostra Academy, è di sensibilizzare progettisti ed imprenditori sulle tematiche dirette alla “performance” (e non più alla mera “produttività“) dei collaboratori.

L’architettura può essere un ottimo strumento per favorire la contaminazione delle competenze, la collaborazione e la reciprocità, se e solo se sia un’architettura saggia e meditata.

Si demanda ai seguenti link per approfondimenti:

http://www.repubblica.it/salute/2013/06/10/news/lavoro_voce_alta_e_aria_condizionata_per_6_su_10_l_open_space_fa_nascere_conflitti-60799520/

http://www.corriere.it/salute/12_giugno_21/uffici-open-space_0c057d9a-b3d1-11e1-a52e-4174479f1ca9.shtml

https://quifinanza.it/lavoro/lavoro-uffici-open-space-fanno-male-produttivita-umore-impiegati/288367/