Pubblicità in TV

Nel 1987 una Lorella Cuccarini all’apice del successo riuscì a strappare alla Carrà la palma di “più amata dagli italiani” diventando il nuovo volto delle cucine Scavolini, sodalizio che perdurò per molti anni. La fama a livello nazionale dell’azienda pesarese deriva principalmente da due “ingredienti”:

  • l’intuizione, negli anni ’60, della richiesta del mercato di cucine componibili, come racconta lo stesso Valter Scavolini: «All’inizio facevano mobili tipo credenze o, come si diceva allora, buffet», «Poi abbiamo visto che il mercato era interessato a un nuovo tipo di cucina, quella componibile, basata cioè su moduli coordinati. E ci siamo buttati»;
  • un budget importante nella pubblicità, con molta tv all’inizio, seguita negli anni Duemila dalla campagna “Kitchens”, l’allegato in carta stampata che dalle riviste di settore è passato sui quotidiani raggiungendo una tiratura di quasi 20 milioni di copie.

Mentre il settore degli arredi continua a mantenere salda la sua presenza sul piccolo schermo, proponendo la propria offerta al target “famiglia”, lo stesso non accade per altri scomparti della filiera edile e dell’architettura, sebbene per determinate produzioni la comunicazione massiva potrebbe essere tranquillamente presa in esame.

Probabilmente la motivazione è da rintracciare al contesto locale che ha caratterizzato fino ad oggi la maggioranza delle aziende edili del residenziale: piccole e medie realtà radicate sul territorio regionale o provinciale che preferivano il mezzo stampato o le emittenti locali per promuovere il proprio marchio. Questa logica per tali aziende è ancora in voga: lo dimostrano i numeri degli spazi commerciali acquistati sui giornali, in particolare, a tiratura limitata delle varie provincie italiane. Vediamone i motivi:

L’obiettivo delle attività di comunicazione in generale è influenzare la motivazione, la percezione, la valutazione o il comportamento dell’individuo. La comunicazione viene ad esempio utilizzata per aumentare l’interesse verso un prodotto, per modificare comportamenti del consumatore che creano ostacoli alla vendita o all’uso del mio prodotto, per creare fidelizzazione.

Le fasi per lo sviluppo di una comunicazione efficace attraverso le diverse attività Above e Below The Line sono le seguenti:

  • Fase 1: identificazione del pubblico obiettivo. A chi si desidera rivolgersi (pubblico specifico o generico), potenziali clienti o utilizzatori attuali, ecc.
  • Fase 2: individuare gli obiettivi, cosa dire, come dirlo, dove e quando.
  • Fase 3: definizione del messaggio.
  • Fase 4: scelta dei mezzi o del mix.
  • Fase 5: definizione del budget.

Ne consegue che aziende che dispongono di una rete commerciale ed operativa che copre tutto il territorio nazionale, valicando talvolta i confini del Bel Paese in favore della propria presenza anche in altri Stati, quali ad esempio alcune produzioni della prefabbricazione nell’edilizia in legno o delle ristrutturazioni ad alta competenza, od imprese che producano e vendano beni assimilabili alla scelta del consumatore finale, soprattutto in ottemperanza delle caratteristiche del design, quali ad esempio sistemi e corpi di illuminazione o di produzione demotica e termoidraulica, di complementi di arredo e di biancheria per la casa etc., possono vagliare i mezzi di comunicazione Above The Line quali strumenti diretti ad implementare il Core Business dell’azienda.

Per ulteriori approfondimenti sul Case history di Scavolini e la cucina componibile:

Scavolini e la TV

SWOT edile

Klimahouse: la fiera internazionale per l’efficienza energetica e il risanamento in edilizia, si propone di mettere in risalto una serie di alternative tecniche ed economiche in grado di garantire un notevole risparmio energetico. Dalle varie visite ai padiglioni del Klimahouse, provando ad interpretare le proposte degli espositori nell’ottica del cliente finale, come decisore e fruitore potenziale delle aziende esponenti, abbiamo preso in esame tre aziende a titolo di esempio, potenzialmente simili, tutte operati nel settore dell’edilizia in legno e tutte con sede in Alto Adige.

Ipotizzando un consumatore prettamente razionale, il confronto didascalico derivante dal solo materiale di comunicazione proposto in fiera è il seguente:

L’analisi non favorisce il processo decisionale del consumatore: le tre aziende sono similari in merito a storia, sostenibilità del prodotto e promìse.

La differenziazione delle tre aziende viene parzialmente determinata invece dalle dimensioni del gruppo dove l’Azienda 3 risulta più coincisa (sebbene questo fattore abbia alcune valenze positive nell’emisfero emotivo di alcuni consumatori), dai settori dei tre gruppi, sebbene tutta la trilogia proponga strutture residenziali in legno, dalle tecniche di produzione ed in particolare dal prodotto di punta per le prime due aziende, ed infine dallo stile che vede nella personalizzazione un benefit fondamentale per i propri utenti, sebbene questi ultimi raramente posseggano tutte le informazioni necessarie per poter scegliere le finiture in autonomia. Il villaggio espositivo della prima azienda potrebbe facilitare l’utente in merito alle opzioni di consumo. Su questo punto saliente insiste infatti la seconda azienda, provando a pre-determinare quattro stili di tendenza per orientare il consumatore circa lo stile architettonico e le rifiniture, comprensive degli arredi.

Tutte queste considerazioni che spesso nelle PMI vengono lasciate alla mente della direzione, trovano uno strumento specifico nel marketing: si tratta della matrice SWOT.

La formulazione di un’ipotetica SWOT di una di queste tre aziende, scelta del tutto casualmente e svolta a mero titolo esemplificativo, giacchè tale analisi implica per necessità di cose la profonda conoscenza dell’organizzazione interna, cosa che di certo la fiera non può offrire, potrebbe essere questa:

La SWOT dunque è uno strumento di pianificazione strategica di un progetto e/o di un’impresa. 

L’analisi può riguardare l’ambiente interno (analizzando punti di forza e di debolezza) o esterno di un’organizzazione (analizzando minacce ed opportunità).

A partire dalla definizione dei quattro quadranti e dalla combinazione dei punti cardine individuati, è quindi possibile sapere con esatta certezza se un obiettivo pianificato sia ammissibile o meno e, nel primo caso, procedere all’individuazione degli input per la generazione di possibili strategie aziendali.

Lo spot

Soprattutto in un mercato “maturo”, la marca diventa un elemento vitale di collegamento tra produttore ed acquirente. Essa serve a indicare e garantire la provenienza del prodotto da una determinata azienda, a offrire al consumatore un riferimento costante per individuare e riconoscere i prodotti e la rete di vendita; sulla base di ciò, la pubblicità comunica il cosiddetto “valore d’uso” ed il “valore aggiunto”, il “significato simbolico”. Contribuendo a costruire la marca, la pubblicità diventa soprattutto strumento di differenziazione dei prodotti e, in tal modo, di orientamento della domanda, capace di instaurare un rapporto di fedeltà da parte dei consumatori, talvolta in grado di tradursi in una ‘barriera all’entrata’ sul mercato da parte di altre imprese o di altri prodotti.

 

La strategia pubblicitaria si concentra su insieme di scelte volte a stabilire come la pubblicità deve conseguire il proprio obiettivo: come studiare il Target Group, quali messaggi indirizzargli, attraverso quali mezzi, in quale periodo di tempo, in base a quale stanziamento (budget).

Dalla strategia di comunicazione derivano le indicazioni essenziali per la realizzazione della campagna pubblicitaria: un insieme articolato, coordinato e programmato di iniziative, il cui aspetto più caratteristico è costituito dall’idea creativa e dalla sua elaborazione attraverso i messaggi da diffondere mediante i mezzi prescelti (Creatività pubblicitaria). Generalmente la realizzazione delle campagne viene affidata dalle imprese a organizzazioni specializzate, le agenzie di pubblicità.

 

In merito all’appetibilità di uno spazio televisivo abbiamo già parlato.

Per quanto riguarda invece il linguaggio di uno spot pubblicitario ed alla sua creazione, vale la pena riprendere alcune fasi storiche che hanno segnato l’affermazione dello spot televisivo: un messaggio preregistrato, reso possibile proprio dall’evoluzione tecnica che viene ripetuto più volte, anche nella stessa giornata. Con la chiusura del Carosello, il nome dello sponsor passa dal presentatore o dalla valletta degli anni ’60 e ’70, ad un breve inciso, studiato nei minimi particolari da professionisti, con l’intento di ammortizzare i costi in una campagna pubblicitaria prolungata nel tempo.

Più recentemente e con la iper saturazione dei mercati, la continua necessità di segmentazione dei Target Group, sempre più specifici, ha modificato, i protagonisti principali degli spot pubblicitari, rivolgendo l’attenzione a single (si veda Banderas, che ha brillantemente sostituito la celebre “famiglia del Mulino Bianco”), anziani, immigrati e coppie di fatto.

 

 

Nonostante l’evoluzione dei Target Group, una costante pubblicitaria, che si affermò già sul finire degli anni ’80, è rappresentata dall’uso dello “storytelling”, il racconto emozionale alla base degli spot, di solito basato su una famiglia, spesso mitizzata e lontana dalla realtà, che consuma o usa il prodotto reclamizzato. Questo genere di racconto funziona ancora oggi: le neuroscienze indicano nei “neuroni specchio” la risposta all’intenzionalità delle persone.

 

Questa classe specifica di neuroni, infatti, si attiva sia quando un individuo esegue un’azione sia quando lo stesso individuo osserva la medesima azione compiuta da un altro soggetto; l’apprendimento avviene attraverso l’imitazione e la simulazione.  Per questo motivo molto spesso nella pubblicità massiva è d’uso la figura del testimonial: può trattarsi di un personaggio famoso, ma, soprattutto dopo l’avvento del social network e dell’istituzione della cosiddetta “brand reputation” (la reputazione di una marca nel web), tale figura può essere ricoperta anche da utenti che abbiano provato/testato un dato prodotto e/o servizio.

 

https://www.youtube.com/watch?v=msS5iW2uABE

 

In generale lo scopo del testimonial è di raggiungere un pubblico sempre maggiore e convincere lo stesso all’acquisto. Per aumentare l’efficacia del testimonial, è necessario che esso sia:

  • specifico (le testimonianze vaghe solitamente non convincono)
  • credibile, ponendo talvolta anche delle obiezioni (un utente solo entusiasta è meno convincente)
  • contestualizzato (ovvero proponga informazioni normalmente chieste nel momento dell’acquisto)
  • relazionale (cooè parli con gli utilizzatori potenziali del prodotto).

Alla storia ed all’eventuale testimonial, lo spot solitamente propone una frase concettosa e sintetica, orecchiabile e suggestiva, chiamata “slogan” o “claim pubblicitario”; alcuni slogan nella storia si sono rivelati così azzeccati da segnare poi intere ere sociopolitiche: “Amaro da bere”, “Dove c’è Barilla c’è casa” etc. E’ bene sottolineare che lo slogan varia da campagna a campagna, poiché rappresenta la promessa che un prodotto scambia in quel dato periodo con il suo consumatore ideale. Naturalmente anch’esso è un elemento che deve mantenere la coerenza anzitutto con il od i Target Group, in seconda battuta con il contenuto della promìse (promessa), l’eventuale testimonial e le caratteristiche del prodotto che rispondono al bisogno del potenziale consumatore.

 

Per ulteriori approfondimenti:

qualche spunto dalla critica di Aldo Grasso, che ha analizzato il fenomeno degli spot pubblicitari trasmessi sulle tv locali, soffermandosi prevalentemente sulle esperienze lombarde.

Questo è un estrapolato dell’elenco degli spot pubblicitari indicati da Aldo Grasso:

  • KATIA ARREDAMENTI: con lo slogan “Sciura Maria grazie di esistere”, che realizza anche piccoli serial ambientati in località di interesse turistico note o meno note.
  • IL MERCATONE DELL’ARREDAMENTO DI FIZZONASCO: sempre identico da lustri, basato sull’esibizione in stile americano di majorettes.
  • EUROARREDI: con lo slogan “non ci credi, se non vedi”, esortazione per certi aspetti similare al “provare per credere” di Guido Angeli del mobilificio Aiazzone.
  • CASA DEL BAGNO: “Jingle molto orecchiabile con musica soft, molto rilassante”
  • MIRACLE BLADE: spot doppiato dall’inglese dove un cuoco italo-americano fa mostra dei possibili usi che si possono fare dei coltelli in vendita con prezzo scontato alle prime 50 telefonate.

Stand Rinnovation

Progettare uno stand significa progettare il luogo “reale” della comunicazione aziendale.

Le prossime fiere in calendario hanno già riacceso l’interesse verso la progettazione degli stand: visitandole di volta in volta è infatti possibile notare piccole e grandi lacune in termini di coerenza tra l’immagine aziendale di alcuni espositori e lo stand proposto.

Sovente infatti la progettazione di questo spazio viene demandata al gusto estetico ed al know how del progettista.

Tuttavia il nucleo centrale dell’intero processo di progettazione deve vertere anzitutto sulla sua efficacia comunicativa, intesa in primis come rappresentazione aziendale e solo in seconda battuta da criteri di funzionalità.

Il percorso più corretto per tale progettazione dovrebbe iniziare da un brief a cura dell’azienda:

  • analisi preliminare:
  1. scelta della fiera, definita in base al target ed all’immagine dell’evento, che deve essere coerente con l’immagine aziendale;
  2. definizione degli obiettivi dell’azienda e dei ritorni attesi dalla fiera;
  3. budget parziale: affitto dello spazio, progettazione e realizzazione dello stand, allestimento;
  4. budget totale: costi collaterali quali quelli organizzativi, del personale, iniziative varie (buffet, cene, etc.), costi di comunicazione (sia on che off line, nonché brochures, inviti etc.);
  5. individuazione del project manager;
  • brief creativo:
  1. mission, vision, eventuale mantra vision, codice etico e valori aziendali;
  2. marchio: forme, colori (pantone o RAL), font, dimensioni, linee prospettiche ed assonometrie;
  3. analisi e sintesi dell’immagine coordinata dell’azienda;
  4. i prodotti da esporre, secondo ordine gerarchico d’importanza (compresi design da testare);
  5. localizzazione del mercato di riferimento (local, glocal o global);
  6. principale target di riferimento raggiungibile mediante la fiera prescelta;
  • spazi prossemici:
  1. caratteristiche culturali del target potenziale: paradossalmente nei Paesi caldi gli spazi prossemici sono più stretti (nei Paesi Arabi l’abbraccio rappresenta il saluto), viceversa nei Paesi più freddi (in Giappone ad esempio la stretta di mano è surclassata dall’inchino);
  2. definizione delle aree di competenza: tecniche, organizzative e gestionali, relazionali e comunicative.

Dal brief aziendale, l’analisi architettonica a cura del progettista:

  • lettura ed interpretazione corretta del brief creativo esposto dall’azienda committente;
  • progettazione degli spazi prossemici:
  1. spazi di transito e spazi di sosta: a questi ultimi va data una maggiore dimensione per evitare una vicinanza distorsiva tra estranei;
  2. spazi di visione: l’atto del guardare necessita di piccole nicchie ove poter sostare senza che la propria vista o la propria permanenza vengano danneggiate dalle zone di transito;
  3. spazi di relazione: destinati al contesto commerciale, abbisognano di privacy;
  • progettazione architettonica dello stand (interpretando rigorosamente il brief dettato dall’azienda):
  1. scelta della tipologia di stand: aperto o chiuso. Se lo stand è aperto, è possibile determinarne la forma: ad isola, a penisola, ad L, aperto su uno o due lati;
  2. il layout non serve, poiché concetto fuorviante rispetto all’analisi delle competenze aziendali che entreranno in fiera, come illustrato nel brief aziendale;
  3. i percorsi si suddividono normalmente in percorso singolo, multiplo o a ventaglio. Nuovamente l’informazione non deve nascere dal progettista, bensì pervenire dagli spazi prossemici analizzati e richiesti dall’azienda;
  4. ad un’unico livello o multipiano, modulare o su misura, sulla sua forma e sulla definizione dei perimetri e delle altezze;
  5. pareti e soffitti, finiture ed arredi, l’illuminazione, grafica etc. sono infine chiavi di comunicazione di fondamentale importanza: la percezione del visitatore dovrà corrispondere univocamente all’immagine coordinata dell’azienda, al suo universo culturale ed ai valori interni, nonché al piani di marketing e di comunicazione sviluppati al suo interno;
  6. rispetto ai materiali da utilizzare per la costruzione dello stand, alle certificazioni in termini di sicurezza, antincendio etc., sta al progettista invece orientare il proprio committente sulle scelte puntuali.

Affidare la progettazione dello stand ad un buon progettista significa semplicemente condividere con lo stesso l’identità aziendale ed instaurare una relazione a due fatta di ascolto e comprensione, parimenti a come si farebbe nell’incontro tra due persone che abbiano voglia di conoscersi e di presentarsi assieme al mondo esterno.