Responsabilità sociale

Welfare aziendale: donne al lavoro nello stabilimento Olivetti nel 1962
Stabilimento Olivetti – 1962

L’estetica della macchina è stata particolarmente curata. Una macchina per scrivere non deve essere un gingillo da salotto, con ornati di gusto discutibile, ma avere un aspetto serio ed elegante nello stesso tempo

Camillo Olivetti, padre di Adriano

L’assunzione di una responsabilità sociale non è un elemento che si aggiunge, ma è una dimensione strutturale della vita dell’impresa, un istituto economico-sociale che, nel realizzare la tipica missione produttiva, inevitabilmente esercita ripercussioni su una molteplicità di soggetti, creando valore per ciascuno di essi.

L’assunzione di responsabilità sociale diventa interessante quando nel concreto si dimostra conveniente di essere in armonia con le esigenze dettate dagli obiettivi di competitività ed economicità dell’impresa. Soluzioni nuove di responsabilità sociale e performance d’impresa possono essere in grado di innescare un circolo virtuoso a beneficio dello sviluppo aziendale, oltre che degli interlocutori sociali.

La responsabilità sociale può essere vissuta come un limite morale, connesso alla tutela dei diritti per ottemperare gli obblighi di legge, oppure può essere vissuta come creatività socio-competitiva, quale fonte di innovazione strategica e innovativa.

Responsabilità sociale come … limite morale … tutela dei diritti

Responsabilità sociale come … fonte di innovazione … creatività socio-competitiva

Per un’impresa gestire la responsabilità nei confronti delle proprie risorse può essere caratterizza dalla ricerca di soluzioni innovative atte a soddisfare in misura sempre maggiore le attese di ognuno, considerando tali soluzioni un fattore di sviluppo della competitività d’impresa. L’esigenza della creatività, a proposito della responsabilità, nasce dalla consapevolezza che in ogni situazione è possibile rispettare “di più”, valorizzare “di più” e soddisfare “di più”. 

La creatività socio-competitiva è una fonte di innovazione che entra nelle attività aziendali, dando vita a forme di rapporto con i collaboratori in grado di innalzare la coesione all’interno dell’impresa, a nuovi prodotti connotati da valenze sociali o ecologiche, a forme di comunicazione tese a coinvolgere tutti gli attori nel disegno dello sviluppo d’impresa

A volte, quando lavoro fino a tardi vedo le luci degli operai che fanno il doppio turno, degli impiegati, degli ingegneri, e mi viene voglia di andare a porgere un saluto pieno di riconoscenza.

Adriano Oliveti

Le risorse umane rappresentano la categoria di maggiore interesse in relazione alla competitività e capacità innovativa dell’impresa. Diversi sono gli ambiti della responsabilità sociale d’impresa applicabili alle risorse umane: dai trattamenti salariali alle condizioni di lavoro, dalla gestione dei licenziamenti ai trattamenti pensionistici, ecc. Tutti temi che variano in ogni impresa e sulla base dei diversi settori. 

Ma da dove bisogna partire? Innanzitutto le imprese devono considerare il fatto che il lavoro sostenibile costituisce un elemento di “energia psicofisica” (Guerci, 2011), capace di aumentare il senso di equità e benessere del collaboratore, contribuendo a creare un ambiente di lavoro vivibile, in grado anche di stimolare capacità di apprendimento e di problem solving. 

Quali caratteristiche deve avere il lavoro sostenibile? I contenuti del lavoro sostenibile devono essere: autentici, i collaboratori devono poter esprimere i propri pensieri e valori; significativi, le prestazioni svolte dai collaboratori devono far percepire che sta facendo qualcosa che effettivamente apporta un valore aggiunto all’attività aziendale; basati sulle competenze, prevedendo un apprendimento continuo dovuto a situazioni nuove, al fine di dare al possibilità a tutti di poter contribuire al valore d’impresa.  

Quali condizioni aziendali favoriscono il lavoro sostenibile? La prima è senza dubbio quello di saper e riuscire a mettere ogni collaboratore nella condizione di vivere un’esperienza positiva

Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva, non giovi a un nobile scopo.

Adriano Olivetti

Se si agisce dando spazio di autonomia decisionale (lavorando per obiettivi) attraverso l’utilizzo di competenze specifiche di ogni collaboratore, in modo che ognuno di loro soddisfi le proprie esigenze professionali, allora tutti percepiranno il proprio lavoro positivamente. 

La seconda condizione fa riferimento alle relazioni lavorative e sui rapporti interpersonali che devono basarsi sulla fiducia, sull’accettazione e sulla reciprocità.

Io voglio che lei capisca il nero di un lunedì nella vita di un operaio. Altrimenti non si può fare il mestiere di manager, non si può dirigere se non si sa che cosa fanno gli altri.

Adriano Olivetti

Qual è la “formula magica” per l’azienda che voglia progettare un modello il lavoro sostenibile? Innanzitutto è necessario trasmettere un modus operandi del lavoro caratterizzato dalla collaborazione e dal lavoro in team; in secondo luogo è necessario sviluppare il lavoro sostenibile come un impegno continuo nel tempo, prevedendo interscambiabilità, contaminazione delle competenze e possibilità di armonizzare la propria vita lavorativa con quella personale/familiare; in terzo luogo costruire relazioni interpersonali positive, quale elemento cruciale della sostenibilità di tutto il sistema.

Responsabilità sociale come:

creatività socio-innovativa, energia psicofisica, lavoro sostenibile.

Confraternite italiane

Il valore delle #relazioni

La comunicazione si trasforma in cultura, la cultura si diffonde: cambia il modo di pensare, cambia il modo di parlare, il mondo diventa una rete.

La relazione è innovazione e l’innovazione amplifica le relazioni, le quali producono conoscenza, oggi condivisa ed in tempo reale.

La pratica di creare una rete di relazioni è molto diffusa tra le imprese e i professionisti da molto tempo prima della nascita di internet. Una pratica che si perde nella notte dei tempi, quando il commercio era circoscritto a comunità locali e si basava sulle relazioni personali all’interno della comunità. Ma con l’industrializzazione, la globalizzazione e l’apertura dei mercati a livello internazionale si è venuti a creare un contesto di lavoro nuovo e diverso in cui la competizione la fa da padrona. Contesto che abbiamo dovuto imparare a conoscere, attraverso un continuo apprendimento, che non ha mai fine.

In questo contesto imprese e professionisti si trovano a operare in situazioni in cui la relazione e la conversazione sono in grado di determinare il successo o il fallimento di un’attività, proprio perché la conoscenza, vera o falsa che sia, si diffonde molto rapidamente attraverso il mondo virtuale.

Attraverso la rete virtuale le conversazioni circolano inevitabilmente con un flusso di informazioni che prescinde dalla volontà dell’impresa. La conversazione non è più controllabile tramite le classiche azioni di pubbliche relazioni. Ora non sono più sufficienti a creare il consenso attorno ad un marchio, un prodotto, un servizio.

L’impresa non è più al centro di un sistema, ma è parte di una rete.

Costruire relazioni per il proprio business, come agire?

Le relazioni di business riguardano le persone, riguardano l’attività di un gruppo che si riconosce e agisce attorno ad obiettivi comuni.

In questo contesto mutevole e fragile ci muoviamo insieme … dai valori di Prossemica è nata la volontà di creare una Confraternita in stile Made in Italy.

Lo scopo è quello di creare conoscenza ed opportunità attraverso la condivisione di competenze, esperienze e relazioni reciprocamente proficue per esaltare le proprie peculiarità e condividere nuove iniziative, nuove collaborazioni, nuove interazioni, nuove conoscenze, nuovi supporti, nuove idee. 

Costruire relazioni di business non è solo per le grandi imprese, ma è per tutti.  Come in ogni relazione, ascoltare e partecipare sono gli elementi essenziali. La partecipazione diventa ancora una volta uno scambio di stimoli, risposte e proposte tra le parti, sia degli individui come singoli che come rappresentanti di un’azienda. 

Al centro ci sono sempre le relazioni.

Le relazioni generano capitale sociale, che è determinato dalla condivisione e dal dialogo, dall’ascolto e dalla partecipazione di ciascuno dei membri. Il rapporto si basa sulla reciprocità ed equità tra le parti. 

Un nuovo contatto si trasforma in relazione quando si sviluppa fiducia e credibilità. Questo è ciò che accade nella Confraternita.

Nella Confraternita le relazioni creano valore nell’ecosistema dell’innovazione, ma attraverso lo stile che conosciamo meglio, il Made in Italy.

Per il resto del mondo l’Italia è un vero e proprio enigma, perchè è l’unico sistema Paese nel quale si riesce a generare valore nonostante le situazioni di caos”  – Philip Kotler

L’Italia è un grande team, creativo, personale, con la propensione alla “personalizzazione”, flessibile, comunicativo, mobile, ma legato alle tradizioni e al territorio; innovativo e risolutivo, “geniale” in tal senso: vi si trovano sempre soluzioni (anche bizzarre) per affrontare ogni tipo di situazione.

Lo stile italiano è quello di tessere relazioni che creano conoscenze e attraverso la collaborazione nascono i maestri dell’innovazione. Lo sviluppo dell’innovazione parte con l’identificazione di un’opportunità e oggi le opportunità  si muovono attraverso la Confraternita, un’infrastruttura sociale esclusiva tutta italiana.

“La persona vive sempre in relazione. Viene da altri, appartiene ad altri, la sua vita si fa più grande nell’incontro con altri. E anche la propria conoscenza, la stessa coscienza di sé, è di tipo relazionale, ed è legata ad altri che ci hanno preceduto.” – Lumine Fidei, 2013 – Papa Francesco.

Open Space: sì o no?

Gli edifici aziendali sono il risultato di un compromesso tra i bisogni effettivi di un’organizzazione e le caratteristiche funzionali degli spazi. Il successo di questo compromesso dipende da una corretta considerazione delle relazioni tra: le attività lavorative nel quotidiano, le risorse umane  e l’ambiente.

Il modo di lavorare è differente per ogni organizzazione e questo dipende ovviamente dalle attività, dal settore, ecc. però è innegabile il fatto che molto spesso nel corso degli anni gli spazi rimangono e vengono considerati sempre nella stessa modalità con cui erano stati progettati inizialmente, a prescindere dalle diverse culture d’impresa, a prescindere dai cambiamenti nel tempo nelle modalità di lavoro, ecc.

La relazione tra l’ambiente di lavoro e il comportamento delle risorse umane appartiene alla tradizione scientifica della psicologia sociale e ambientale, ma in tempi recenti ha indotto a ulteriori approfondimenti e indagini, dettate per esempio dalle imposizioni legislative in tema di sicurezza, dalla crescente consapevolezza e conoscenza da parte dei propri collaboratori in tema di comfort ambientale, dalla crescente ricerca della produttività da parte delle organizzazioni. A tutto ciò inoltre si aggiunge anche l’approccio organizzato del facility management.

Questi elementi inducono in qualche modo a dover soffermarci per fare un approfondimento sul tema della RELAZIONE INDIVIDUO-AMBIENTE-COMPORTAMENTO, che va al di là delle proprietà fisiche del luogo, ma che invece abbraccia ambiti psicologici e comportamentali. 

Il tema diventa dunque complesso, perché da un lato include concetti fisici e psicologici, ma dall’altro necessita di una forte attenzione sul tema gestionale.

La risposta alle esigenze di FLESSIBILITÀ’ e RAZIONALITÀ’ nell’utilizzo degli spazi, ha portato alla diffusione di SOLUZIONI OPEN SPACE all’interno delle organizzazioni, orientate alla CONDIVISIONE e alla COLLABORAZIONE. 

Infatti, per diversi motivi, la collaborazione tra le persone è diventata il PRINCIPALE MOTORE DI PROGRESSO e INNOVAZIONE. 

Gli Open Space portano con sé aspetti positivi, ma anche negativi, come per esempio un eccesso di interazione e l’assenza di privacy pagano un pesante tributo in termini di creatività, produttività, coinvolgimento e benessere dei lavoratori. La mancanza di privacy è uno dei più frequenti motivi di insoddisfazione delle persone, anche a seguito del sempre più diffuso ricorso all’open space per l’organizzazione dello spazio. 

A priori non è possibile dire se gli ambienti Open Space siano negati o meno all’interno della propria realtà organizzativa, per poter favorire ambienti produttivi e performanti, nonché attrattivi per le proprie risorse umane. E’ sempre necessario effettuare una valutazione strategica che possa indicare la strada da seguire per “perfezionare le modalità di collaborazione”.

Le organizzazioni non sono tutte uguali, ognuna ha le proprie peculiarità e caratteristiche e sulla base di questo sarà  necessario creare spazi in cui le persone si sentono a proprio agio nella modalità di lavoro, condivisa e non. 

Nel mondo del lavoro la correlazione tra relazioni umane e performance è sempre attivo e il ragionamento su come strategicamente disegnare gli spazi aziendali è d’obbligo se si vuole sviluppare il proprio business aziendale. 

OPEN SPACE o UFFICI SINGOLI? POSTI ASSEGNATI o POSTI FLESSIBILI?

OPEN SPACE & POSTI ASSEGNATI:

Efficienza nel lavoro di gruppo 

Produttività nel team

Focalizzazione sul lavoro di gruppo

Sviluppo di progetti

OPEN SPACE & POSTI FLESSIBILI

Scambio e interazione

Serbatoio di idee

Creatività

Contaminazione

Maggiore innovazione

UFFICI SINGOLI & POSTI ASSEGNATI

Produttività individuale

Concentrazione

Rispetto dei tempi

Focalizzazione sui compiti

UFFICI SINGOLI & POSTI FLESSIBILI

Sviluppo e creazione di prototipi

Creatività 

Brainstorming

A differenze dei classici spazi aziendali, gli Open Space nascono soprattutto con l’obiettivo di favorire CONDIVISIONE, COLLABORAZIONE e SCAMBIO DI IDEE. 

E allora … 

perchè SI agli OPEN SPACE?

E’ più facile percepire la vicinanza dei propri colleghi costruendo integrazione, pur mantenendo ruoli e responsabilità, destrutturando gerarchie e aumentando la motivazione.

Possibilità di scambio tra team di lavoro diversi. Competenze, attività, esperienze di differenti comparti aziendali diventano un valore condiviso.

Prossimità e condivisione dello spazio favoriscono l’interazione e la socializzazione tra le persone.

Apertura degli spazi = aumento del senso di fluidità e dinamismo, le comunicazioni sono facilitate, le informazioni e le idee circolano più velocemente;

perchè NO agli OPEN SPACE?

Assenza o scarsissima protezione della privacy

Sovraccarico sensoriale: la condivisione dello spazio sottopone le persone a continui stimoli sonori e visivi

Difficoltà di concentrazione, facilità a perdere tempo e aumento dello stress

Possibilità di attriti, le mura separano ma a volte possono svolgere un ruolo di protezione e mediazione tra le persone.

A prescindere però dalla tipologia di spazio strutturato in azienda, una cosa è certa: la condizione che influenza significativamente il COINVOLGIMENTO e l’IMPEGNO delle proprie risorse umane e, quindi di conseguenza, il loro livello di SODDISFAZIONE per il proprio posto di lavoro e l’ATTACCAMENTO alla propria azienda è a volte legato, non tanto alla tipologia di spazio, ma alla mancanza di poter scegliere la modalità di lavoro, volta a trasmettere SERENITÀ’ e CONCENTRAZIONE ottimale.

Il contagio emotivo.

https://www.youtube.com/watch?v=w9AHB0eJ8oc
Un cuore… di panna, negli anni ’80. Ed oggi?

Diverse piattaforme di social monitoring tengono traccia del sentimenti connessi ai contenuti basandosi spesso sulla ruota delle emozioni di Plutchik

Nonostante l’aiuto tecnologico di sistemi di analytics e reporting strutturati che permettono di raccogliere e analizzare in modo completo e sistematico le informazioni provenienti dai social, ulteriori sondaggi hanno tuttavia riscontrato la scarsa presenza di attività di analisi e di inclusione delle informazioni e dei feedback raccolti tramite social media all’interno dei processi decisionali aziendali. 

Uno dei social network comunemente utilizzato nel nostro Paese, Facebook, ha introdotto nel 2016 e tra i primi alcuni pulsanti, denominati ”Reactions” (ovvero “reazioni”), che consentono all’utente di esprimere le proprie emozioni relativamente ai contenuti postati ed agli eventuali commenti. 

Già agli inizi del 2012 i ricercatori del Data science center di Facebook avevano eseguito due esperimenti: nel primo test i soggetti del gruppo sperimentale erano stati esposti a contenuti positivi nel flusso delle notizie. In un secondo esperimento a contenuti negativi. 

Il risultato evidenzia un chiaro “contagio emotivo” tra persone. 

Inoltre è stata dimostrata la correlazione tra contenuti ad alto impatto emotivo, come le foto e i video, e la “viralità” nel social network.

Questo risultato ha avvalorato la strategia degli algoritmi, quali formule che condizionano sia le emozioni e il comportamento umano, che intere economie e strategie di marketing. 

L’algoritmo elabora quali contenuti mostrate nel flusso di notizie, determinando quali contenuti mostrare. Conseguentemente lo stesso influenza il budget delle aziende che usano il social network per farsi pubblicità.

Fanpage Karma, ottimo tool di analisi, permette una snella statistica delle emozioni più gettonate:

  • per le pagine di Facebook, la reazione “Love” è la più cliccata (45%) dopo il vecchio “Like”, seguiti da “Haha” 23%, “Wow” 13%, “Sorry” 10% e “Anger” 10%;
  • sul singolo post le reazioni si suddividono invece in “Love” 28% (ancora una volta la più utilizzata), ma a breve distanza segue il suo opposto, la rabbia “Anger” con ben il 27%; poi “Haha” 17%, “Sorry” 15% ed infine il “Wow” con il solo 12%.

La questione più interessante è che i post con reaction ottengono una portata di 2-3 volte superiore a quelli con solo i Like in termini di condivisione:

i post con i “Love” vengono condivisi 5.5 volte più spesso, i link con i “Sorry” 4 volte più spesso, i video con “Wow” e “Haha” vengono visti 6.5 volte più spesso ed i post “Angry” commentati il 50% in più.

E’ però importante notare che i Reactions hanno la pretesa di sintetizzare le emozioni riconosciute universalmente, dette anche “emozioni primarie” le quali, secondo vari studiosi, sarebbero sette, come già descritto nell’articolo “La scelta dell’emozione”.

Tuttavia i pulsanti in dotazione in Facebook ne escludono alcune, generalizzando il significato che l’utente vorrà esprimere:

  • Like: oltre a significare “mi piace” il contenuto, sovente viene utilizzato per segnalare all’autore del che quel post è stato visionato. Spesso quindi la reazione non giustifica l’effettiva lettura del testo.

L’elevato numero di like ad una pagina o ad un post, giustifica ormai nel panorama comune l’indice numerico di popolarità dell’autore e/o dell’azienda.

  • Love: esprime qualcosa di positivo e viene utilizzato in relazione a contenuti ritenuti particolarmente emozionanti, talvolta semplicemente per evidenziare un sentimento di gratitudine od affetto per la persona che ha postato un dato argomento;
  • Haha: la gioia esprime una reazione a diversi vissuti. Probabilmente quello più comune è di divertimento per una frase o un post piacevole, allo stesso tempo si è notato che più recentemente il suo impiego può rilevare, al contrario, una reazione satirica al contenuto.

Rispetto alle emozioni primarie, mancano infatti i bottoni della : per tale motivo le reazioni disponibili assumono significati talvolta opposti al loro senso originale.

  • Wow: la sorpresa, per definizione, è uno stato emotivo conseguente ad un evento inaspettato o contrario all’aspettativa di chi lo sperimenta. Dura pochi istanti ed è in genere seguita da paura o gioia. Il suo utilizzo in Facebook lega questa reazione frequentemente alla curiosità più che allo stupore;
  • Sigh: la psicologia illustra come la tristezza venga ancestralmente associata alla riflessione. Per questa reazione, semmai, il problema interpretativo risiede nel fattore “tempo” che ad essa viene dedicato: nella vita reale la tristezza si accompagna ad una chiusura della persona, che permette l’elaborazione della perdita o della speranza frustrata etc. Nel social network, per propria natura, il fattore temporale è determinato dal “Real Time”, periodo talmente breve da determinare una gestione anomala ed assolutamente inefficiente rispetto al reale sentimento connaturato nella tristezza. E’ quindi una reazione che nel network è difficilmente interpretabile.
  • Grrr: la rabbia è probabilmente è la reazione che si avvicina di più all’idea del “non mi piace”. Questa reazione viene fortunatamente utilizzata nella maggior parte dei casi rispetto al contenuto e non della pagina o del profilo dell’autore.

Le emozioni escluse sono, pertanto, il disgusto, il disprezzo e la paura, che, secondo gli psicologi del Data science center di Facebook, avrebbero potuto connotarsi, verosimilmente alla rabbia, quali espressioni del “non mi piace”.

Anche per questo motivo, la tendenza all’uso di emozioni positive segna maggiormente la condivisione dei contenuti e, con essa, l’indice di popolarità della pagina o del singolo post esaminato.