Momenti: prospettive

“Non c’è valore nel successo industriale se non c’è impegno nello sviluppo sostenibile”. (R. Sghedoni)

La citazione di Romano Sghedoni, fondatore di Kerakoll Spa, è datata 1984, a rappresentanza dell’idea innovativa e della lungimiranza dell’imprenditore: solamente negli ultimi anni, infatti, si sono accesi i riflettori sullo “sviluppo sostenibile”, finalmente inteso come un modello di business. 

La forte cultura aziendale voluta da Sghedoni porta alla creazione di Kerakoll Global Service, nel 1990, identificando così l’azienda come miglior partner del settore nei servizi di consulenza ed assistenza tecnica. Alla continuità generazionale dei valori aziendali ad opera dei figli, consegue poi il processo di internazionalizzazione, attraverso l’innovativa strategia di valorizzazione del brand e della svolta green: la vision di Kerakoll è “fare la differenza attraverso l’innovazione sostenibile”, certificando l’impresa come GreenBuilding Company.

L’esempio suddetto offre un ottimo spunto per chiarire similitudini e differenze tra il Ciclo di vita del settore (CVS) ed il Ciclo di vita del prodotto (CVP).

Dal rapporto 2017 di Federcostruzioni

I rapporti di Federcostruzioni evidenziano la crisi del settore edile già dal 2007, con picchi al negativo in particolare dal 2012 ad oggi. 

Sebbene il CVS (Ciclo di vita del settore) fosse segnato da tale tendenza, l’andamento di Kerakoll è in continua espansione. Il merito è da ricondurre alle possibilità che ogni singolo prodotto può offrire ad un’azienda ed al mercato.

L’attenzione focalizzata sulla differenziazione di prodotto, attraverso l‘ascolto del mercato e ricerche concentrate ad hoc sui trends di nuova generazione, indicano le direzioni che ricerca ed innovazione possono perseguire. 

Anticipando ed assecondando la tacita richiesta di sostenibilità e ed eco-compatibilità, è stato possibile per Kerakoll e per altre aziende innovative conseguire il vantaggio competitivo che ne avrebbe confermato negli anni successivi la leadership. 

Ad oggi i termini “green”, “eco-sostenibile” ed “eco-compatibile” formulano il trend principale anche in altri scomparti produttivi e commerciali, quali l’alimentare, l’arredo etc. Tali mercati, assieme a quello edile, sono sostenuti da normative sempre più esplicite in tal senso, le quali riformulano, accorciandole, le distanze tra l’offerta delle varie aziende e la domanda dei consumatori.

Parimenti, però, si abbrevia anche la distanza competitiva tra un’azienda e l’altra, rimandando l’intero settore alla fase matura e ad un conseguente aumento della competitività. 

CVP – Ciclo di vita del prodotto

La rappresentazione grafica del Ciclo di vita di un prodotto (CVP) può chiaramente mostrare la relazione che intercorre fra lo sviluppo di un prodotto e l’utilizzo delle risorse finanziarie di cui necessita.

Innovare o rinnovare uno o più prodotti significa anzitutto determinare le informazioni utili per il business: ad esempio individuare le tipologie di prodotti o servizi più redditizie, le preferenze dei clienti, i canali distributivi più efficaci; identificare i target di comunicazione; oppure elaborare proiezioni dei volumi di vendita. 

Per elaborare un’efficace pianificazione strategica aziendale, è necessario orientare al meglio le azioni di sviluppo e progettazione di prodotti e servizi, definire strategie commerciali e progetti di comunicazione adeguati, e organizzare la rete vendita in modo efficiente.

La “cultura d’impresa” rimarcata nell’intervista a Sghedoni impermea mission e vision aziendale, delimitando i confini della gamma di prodotti ed orientandone la ricerca e l’offerta.

Saper individuare i trends nascenti di un mercato, significa avere l’opportunità di comporre il valore aggiunto dell’azienda e garantirne la strategia all’interno di un mercato dinamico. 

A tal fine, le ricerche di mercato consentono di comprendere l’ampiezza totale del mercato di riferimento e dei prodotti e/o servizi erogati, gli scenari futuri, di valutare in anticipo le esigenze dei clienti, al fine di immaginare una filosofia aziendale che concorra a determinare le informazioni utili per il business futuro.

Negli Uffizi

Nel video, trailer del film “La zuppa del demonio” di Davide Ferrario, il rapporto tra autorità, potere, industria ed economia, offre alcuni temi culturali per introdurre l’analisi dell’architettura aziendale che ha segnato l’intero ‘900.

 

Come abbiamo già avuto modo di approfondire, nella OST (Open Space Technology, quella vera, che esime dagli “open space” intesi come meri “spazi aperti”) l’impiego di capacità e competenze organizzative, gestionali e tecniche viene messo al centro dell’azienda, tradizionalmente negli uffici l’architettura degli spazi aziendali argomenta in merito alla centralizzazione della proprietà e della direzione.

 

In effetti, il termine stesso di “ufficio” indica il dovere, il compito inerente alla funzione o alla mansione esercitata, alla carica o al posto ricoperti. Precedentemente esisteva il “gabinetto”, inteso nel significato originario del termine come un piccolo locale adibito ad uso personale, alla stregua di un ufficio, solitamente utilizzato per colloqui riservati o per il ricevimento di ospiti.

In questa chiave architettonica la ridondanza del contenuto viene accentuata sull’ordine gerarchico e sul controllo interno dell’organizzazione aziendale: uffici più grandi, solitamente predisposti nelle zone più soleggiate o affacciate sui panorami circostanti, sono assegnate alla proprietà od all’amministratore delegato. Vi si affacciano gli uffici della segreteria direzionale e l’amministrazione, per poi assegnare via via in “scatole” sempre più piccole ed a comparti stagni le competenze tecniche, gli uffici di “customer” (care, service etc.) ed, infine, il reparto di produzione, solitamente staccato dal resto della compagine “impiegatizia”.

Un esempio storico, tutto italiano si trova della progettazione degli Uffizi di Firenze, che  permettono di capirne le dinamiche e la volontà architettonica, economica, politica e socio-culturale.

A metà del XVI secolo, Vasari fu chiamato da Cosimo a progettare gli uffici che avrebbero dovuto contenere tutte le magistrature cittadine. La peculiarità del progetto fu la risposta ad una esigenza pratica, che consisteva nel fatto che le magistrature non avevano lo stesso ruolo all’interno della città per cui avevano bisogno di spazi architettonici diversi. Uffizi lunghi furono preposti alle magistrature più importanti, Uffizi corti alle magistrature minori. L’ordine architettonico che prevalse fu quello dorico, ad indice di autorevolezza e fermezza, mentre le tre campate di testata vennero contraddistinte da un ordine composito, compromesso voluto da Cosimo stesso.

 

In conclusione, l’Open Space mendace, che ha rappresentato negli ultimi due decenni un vezzo di modernismo in svariate aziende sembra già anacronistico. Il ritorno ai più classici uffici sembra fare capolino a più riprese. Non ci sono architetture giuste o sbagliate, purché ancora una volta l’architettura stessa si faccia interprete dei valori culturali, stavolta riferiti alla corrispondente importanza delle competenze strutturali all’azienda, parafrasando, quindi, le parole di Franco Fortini: “Le parti del discorso come parti della costruzione: l’ingegneria si è unita al paesaggio, è diventata architettura (…)”.

Psicologia cognitiva

Alcuni studi di pedagogia hanno messo in risalto come il confine tra realtà e fantasia non possa essere rappresentato da un limite netto.

La distinzione dei pensieri che si svolgono nella mente e le cose che capitano nel mondo è il punto di partenza della “teoria della mente”, trattazione appartenente alla psicologia cognitiva, branca della psicologia che ha come obiettivo lo studio dei processi mentali mediante i quali le informazioni vengono acquisite dal sistema cognitivo, elaborate, memorizzate e recuperate.

Noti studiosi quali Leibniz e De Montaigne assunsero che fra il mondo degli oggetti ed i modelli mentali esistono i “concetti” ed il “linguaggio”, che ci permettono di fare descrizioni vere o false del mondo. Entrambi i ricercatori elaborano uno dei principali meccanismi cognitivi di comunicazione ed interazione: il “mettersi al posto degli altri” è una delle capacità che riesce persino a modificare la vita corporale, dato che “fortis imaginatio generat casum” (trad. “la forza dell’immaginazione genera un caso”).

Ontologia ingenua - Foto di Clem Onojeghuo

Nel galateo della comunicazione questa capacità permette la valutazione adeguata di ciò che è corretto e giusto: una comunicazione corretta non deve necessariamente esplicitare tutti i contenuti mentali di due interlocutori.

A volte ci si può limitare alla nozione di “ricorsività”: possiamo concepire i presupposti cognitivi per la comunicazione come la costruzione di modelli (della nostra mente) che contengono a loro volta modelli (della mente altrui), a beneficio di un risparmio cognitivo reciproco.

Realta-virtuale-Foto-di-Maico-Amorin

Ai nostri fini di introdurre la comunicazione come veicolo del marketing, va chiarito da subito che la psicologia cognitiva al nostro tempo risente dell’importanza del web e della realtà virtuale, in tutti quegli strumenti che permettono di entrare in network sul mercato, aumentandone esponenzialmente la massa e la velocità dei messaggi. Si parla quindi di “Web Psychology” e di telegenesi: le forme di partecipazione agli ambienti più vari, offerte dalla tecnologia telematica, soprattutto in termini di condivisione dell’emozione e dei vissuti soggettivi, profilano nuovi gruppi di target. Le nozioni trasposte dalla realtà al virtuale non si discostano molto l’una dall’altra: esiste un rapporto tra il vissuto individuale ed il condizionamento da parte del gruppo (ora gruppo telematico) in un intreccio tra la tecnologia e la comunicazione umana.

Prossemica

Il rilievo assunto in letteratura dalla psicologia ambientale e dagli studi concernenti la dimensione spaziale, ha posto l’attenzione sui vari modi in cui le persone gestiscono ed usano lo spazio fisico-ambientale (il c.d. “comportamento spaziale”) e sulle “mediazioni cognitive” che le persone possono attivare.

Le specificità delle ambientazioni correlate nella progettazione e nel visual merchandising per prodotti italiani, è legata alla percezione delle forme plastiche ed al valore percepito di alto artigianato che ci contraddistingue.

Non a caso nei programmi televisivi le abitazioni americane vengono rappresentate da grandi cucine, atrii d’ingresso trionfali e soggiorni contornanti da parchi maestosi, mentre la nostra “Little Italy” è “little” anche negli spazi di casa, spesso avvertita claustrofobia dai popoli suddetti.

In questo senso, la disciplina della prossemica occupa un ruolo fondamentale nell’analisi della

comunicazione d’ambiente:

Zone prossemiche

Il termine inglese proxemics, derivato di proximity, “prossimità“, voleva indicare lo studio dello spazio umano e della distanza interpersonale nella loro natura di segno, indagando il significato che viene assunto, nel comportamento sociale dell’uomo, dalla distanza che questi interpone tra sé e gli altri, tra sé e gli oggetti, e, più in generale, il valore che viene attribuito da gruppi culturalmente o storicamente diversi al modo di porsi nello spazio e di organizzarlo, su cui influiscono elementi di carattere etnologico e psicosociologici (rif. Dizionario Treccani).
Si distinguono quattro distanze prossemiche:

– Distanza intima:da 0 cm. a 45 cm.
– Distanza personale: da 45 cm. a 70 cm./1 m.
– Distanza sociale: da 120 cm. a 2 m.
– Distanza pubblica: da 2 m. ad oltre i 2 m.

Inoltre, lo spazio prossemico personale varia da cultura a cultura: è molto ridotto nei popoli dei paesi caldi (e tra i marocchini, gli arabi), in cui arriva quasi al contatto fisico; è, invece, molto ampia nei paesi freddi (ad es. tra gli inglesi è di circa 2 metri); da questa diversità, nascono dei problemi nei rapporti interetnici.

Saper progettare e costruire, soprattutto in merito al retail ed ai vari contesti del commercio, presuppone da parte dell’azienda e del progettista un’analisi attenta del contesto culturale in cui il punto vendita verrà collocato, ma anche della “cultura del consumo” che si desidera intraprendere:

prodotti italiani nell’export, soprattutto legati in qualche modo al valore artigianale percepito, possono essere tranquillamente collocati in spazi più piccoli, se l’intento del commerciante sarà quello di fare leva sul Made in Italy.

Si veda a titolo di esempio il brillante progetto di Eat’s per il “food shopping experience”: http://www.italiadeitalenti.it/interviste/eats-dove-la-vita-va-degustataeat's Milano