Valori in vetrina

L’avvento dei mass media ed in particolare l’ultimo trentennio ha decretato un excursus dei valori della nostra società facilmente riscontrabile nelle pubblicità natalizie di casa nostra.

Se negli anni ’60 e ’70 gli spot inneggiavano al contesto locale, ai rapporti solidali dei piccoli borghi come Motta nel 1975 ed alla nobiltà d’animo come la bontà, nell’esempio del Panettone Alemagna, già negli anni ’80   entrarono sulla scena internazionale valori ritenuti condivisi a livello globale, per lo meno condivisi nei Paesi industrializzati e caratterizzati da potere d’acquisto.

Note aziende dolciarie italiane svilupparono le proprie campagne pubblicitarie su valori via via sempre più individuali: Melegattiregala la fortuna” a pochi eletti, Bistefani di contro “regala la qualità” dei propri prodotti.

E mentre Bauli e Paluani si concentrano sul “Natale dei bambini”, i Baci Perugina vengono destinati solo a chi è stato buono, perché “un bacio è qualcosa di più”.  In questo contesto di destrutturazione dei valori sociali, Coca Cola lancia ancora l’ormai conclamato spot che ne determinò in modo indissolubile il legame col Natale.

La pubblicità qui sponsorizza uno dei valori chiave del brand: il piacere di stare insieme, di festeggiare con amici e parenti. La Coca Cola non è più una bibita, bensì il simbolo di festa e di comunione.

Dopo il 2010 il mondo dell’advertising delle ricorrenze lega gli stessi prodotti a costrutti indennitari molto diversi  da quelli storici: la stessa Coca Cola che inneggiava al “cantare insieme… in magica armonia” ora esorta a fare il regalo solo a “chi rende speciale il tuo Natale”. La vigilia di Natale di Bauli nel 2015 è stata lavorativa fino a tarda sera: al rientro a casa dall’ufficio una famiglia dai contorni non troppo definiti accoglie in soggiorno il povero lavoratore. Mulino Bianco chiede orami da anni a Babbo Natale la propria lista dei desideri, invertendo le posizioni, con la differenza che se nel solo 2002 è un bimbo, fresco di sana ingenuità a scrivere al barbuto,  mentre già nel 2013 si trova il single Banderas con la fidata gallina Rosita nel noto mulino, intenti nella scelta di tre ridotti biscotti da lasciare in dono. La solitudine di Babbo Natale, solitamente giustificata dalla grande mole di letterine piovute innanzi al caminetto e dai preparativi dei pacchi natalizi, sembra essere diventata la nostra solitudine, nell’attesa che dal camino sopraggiunga il pensiero di qualcuno che ci abbia giudicati speciali.

In tutto questo contesto si possono leggere i connotati dell’era globale più recente, determinata da crisi economica, di lavoro e di legami familiari sempre più esili.  Il ritorno a valori più tradizionali e connaturati alle identità locali potrebbe portare ad un cambiamento favorevole non già alla definizione di “potere d’acquisto” come intimato dalle grandi multinazionali, bensì al ritorno del concetto di “valore aggiunto”, stavolta dell’individuo nella propria collettività anziché del prodotto/servizio offerto.

 

Queste ed altre riflessioni ai seguenti link:

Progettare tradizione

Nella cultura italiana ed in particolare del centro sud, la tradizione del Natale è fortemente legata alla progettazione ed all’allestimento del presepio.

Le regole e le tecniche per poterne realizzare uno nel pieno rispetto delle sue origini non è dissimile alla progettazione di una qualunque architettura urbana. E’ consigliabile iniziare da un bozzetto, che dovrà tenere conto della distribuzione delle scene principali secondo criteri noti e dell’illuminazione.

 

La struttura del presepe classico presenta la grotta in primo piano affiancata da pastori in adorazione ed Angeli, quindi il sacro monte con altri pastori accompagnati da greggi ed Angeli in volo che annunciano la buona novella, ed in lontananza il corteo dei Re Magi. Secondo la tradizione vengono figurati i tre episodi narrativi evangelici, la Nascita nella grotta-stalla. Nei secoli scorsi alla scena dell’Annuncio vennero lasciate poche interpretazioni agli architetti presepari, che nelle loro scene avevano solitamente degli angeli che in un alone di luce portano la Novella ai pastori addormentati. La Taverna, invece, fu fonte di creazione di molte variazioni, delegate alla creatività sia gli artisti sia ai committenti. Questo episodio si dovrebbe riferire alla mancata ospitalità alla Sacra Famiglia.

Qui si vanno ad affiancare una serie di episodi spesso d’ispirazione popolare e popolana che fanno da corollario.

 

 

Ci sono poi alcune questioni scenografiche degne di nota da affrontare:

  • la linea d’orizzonte del presepe scenografico deve permettere di collocare il presepe ad un’altezza pari all’altezza della visuale dell’osservatore di modo che lo spettatore possa avere l’impressione di far parte della scena e del paesaggio;
  • il punto di fuga in un presepe deve essere posto ad una distanza dal punto di osservazione pari al doppio della profondità del presepio che vogliamo costruire. Per dare maggiore profondità conviene sempre creare delle quinte che spezzano la scena e diminuire i volumi delle costruzioni e dellgli oggetti,ovviamente anche delle statue ed i colori andranno ad attenuarsi, diventando più spenti e cupi;
  • sarà poi necessario individuare eventuali elementi paesaggistici, quali montagne, muri e declivi del terreno, avendo cura di evidenziarne topograficamente le salienze nella planimetria.

 

L’elemento chiave di un bel presepe casalingo, di fatto, rimane la partecipazione: il vero protagonista è Gesù bambino, pertanto la chiave di lettura più ingenua e pura sarà sempre il momento in cui i bambini potranno partecipare alla sua costruzione ed alla comprensione della storia narrata dalla Bibbia e della tradizione del  presepio.


Per ulteriori approfondimenti tecnici:

https://www.dioramapresepe.com/tecniche-come-fare-un-presepe-e-bozzetti/

Psicologia cognitiva

Alcuni studi di pedagogia hanno messo in risalto come il confine tra realtà e fantasia non possa essere rappresentato da un limite netto.

La distinzione dei pensieri che si svolgono nella mente e le cose che capitano nel mondo è il punto di partenza della “teoria della mente”, trattazione appartenente alla psicologia cognitiva, branca della psicologia che ha come obiettivo lo studio dei processi mentali mediante i quali le informazioni vengono acquisite dal sistema cognitivo, elaborate, memorizzate e recuperate.

Noti studiosi quali Leibniz e De Montaigne assunsero che fra il mondo degli oggetti ed i modelli mentali esistono i “concetti” ed il “linguaggio”, che ci permettono di fare descrizioni vere o false del mondo. Entrambi i ricercatori elaborano uno dei principali meccanismi cognitivi di comunicazione ed interazione: il “mettersi al posto degli altri” è una delle capacità che riesce persino a modificare la vita corporale, dato che “fortis imaginatio generat casum” (trad. “la forza dell’immaginazione genera un caso”).

Ontologia ingenua - Foto di Clem Onojeghuo

Nel galateo della comunicazione questa capacità permette la valutazione adeguata di ciò che è corretto e giusto: una comunicazione corretta non deve necessariamente esplicitare tutti i contenuti mentali di due interlocutori.

A volte ci si può limitare alla nozione di “ricorsività”: possiamo concepire i presupposti cognitivi per la comunicazione come la costruzione di modelli (della nostra mente) che contengono a loro volta modelli (della mente altrui), a beneficio di un risparmio cognitivo reciproco.

Realta-virtuale-Foto-di-Maico-Amorin

Ai nostri fini di introdurre la comunicazione come veicolo del marketing, va chiarito da subito che la psicologia cognitiva al nostro tempo risente dell’importanza del web e della realtà virtuale, in tutti quegli strumenti che permettono di entrare in network sul mercato, aumentandone esponenzialmente la massa e la velocità dei messaggi. Si parla quindi di “Web Psychology” e di telegenesi: le forme di partecipazione agli ambienti più vari, offerte dalla tecnologia telematica, soprattutto in termini di condivisione dell’emozione e dei vissuti soggettivi, profilano nuovi gruppi di target. Le nozioni trasposte dalla realtà al virtuale non si discostano molto l’una dall’altra: esiste un rapporto tra il vissuto individuale ed il condizionamento da parte del gruppo (ora gruppo telematico) in un intreccio tra la tecnologia e la comunicazione umana.

Psicologia ambientale

Poco nota in Italia è la branca della psicologia “ambientale” (Environmental Psychology), campo “di frontiera” tra la psicologia e gli altri vari ambiti, sia disciplinari che tecnici, riguardanti problemi attinenti al cambiamento dell’ambiente fisico urbano e che coinvolge le discipline dell’architettura e delle scienze naturali, apportando nel dibattito due delle principali tradizioni teoriche della psicologia della percezione-cognizione e della psicologia sociale.

Alla psicologia ambientale è dedicata la categoria “progettazione”: ogni frangente dell’analisi e della strutturazione di un piano di visual merchandising dovrebbe anzittutto prendere atto dalle fasi primordiali della strategia di marketing del committente. Saper individuare il target, le azioni e le tecniche di vendita, la tipologia dei prodotti offerti, il piano di comunicazione creato dall’azienda ed interpretare correttamente tali variabili in un tempo ed in uno spazio non è facile. Il magazine Prossemica nasce anche da queste esigenze, spesso delineate nei servizi di consulenza offerti ad architetti ed interior designer, al fine di tradurre e mediare il linguaggio economico-commerciale dell’azienda e quello tecnico-progettuale del professionista.

Spazi sociofughi - foto di Clark Street Mercantile
L’interesse alla psicologia architettonica nacque tra gli anni ’60 e ’70, con una serie di sperimentazioni atte all’osservazione pragmatica dell’esistenza di aspetti spazialisociofughi”, volti a scoraggiare l’interazione sociale, o, al contrario, “sociopeti”. R. Sommer elaborerà per primo i concetti di “territorialità umana” e di “spazio personale”(1969 – “Spazio personale: la base comportamentale del disegno progettuale“), contestualmente alla diffusione dell’insoddisfazione crescente verso la progettazione “egocentrica”, vista cioè come volta principalmente a soddisfare i bisogni estetici e di auto-affermazione dell’architetto/progettista e scarsamente centrata sulle esigenze dei destinatari/utenti degli edifici stessi. Molte normative che regolano le costruzioni, pur non basandosi sulla scienza psicologica, sono comunque guidate da assunzioni circa l’impatto psicologico delle forme e dell’ergonomia stesse.

Secondo queste posizioni, Canter (1972 – Psychology for Architects) individua alcuni aspetti critici:
– la necessità di distinguere le esigenze di “adeguatezza funzionale” degli edifici, rispetto a quelle relative la forma;
– la complessità del processo progettuale, in cui nessuno progetta per sé, accentuando invece l’utilità della ricerca psicologica come prezioso contributo in tale direzione.

Spazi sociopeti - foto di Kukuh Himawan Samudro

Secondo Canter e Lee (1974) le principali informazioni che la psicologia può fornire alla progettazione dell’ambiente sono suddivisibili in tre categorie:
le attività della gente: che tipo di attività vengono svolte dalle persone, dove e come sono svolte, come cambiano;
le valutazioni differenziate: quali sono cioè le gerarchie di priorità esistenti tra queste, dal punto di vista sia pratico che valoristico;
il rapporto comportamento/ambiente: conoscere e scoprire i rapporti “interattivi” tra persone ed ambiente.

(Testo di approfondimento: Bonnes e Secchiaroli, Psicologia ambientale – Introduzione alla psicologia sociale e dell’ambiente – Ed. NIS)